La disponibilità di Donald Trump a trovare una soluzione per metter fine alla guerra in Ucraina «quanto meno merita attenzione», secondo Vladimir Putin. Ma l’apertura del leader russo implica qualcosa di più, ovvero la speculare disponibilità a cominciare a parlare di negoziato, nonostante che sul campo di battaglia le truppe di Mosca si trovino all’attacco e avanzino, e quelle di Kiev stentino a fermare l’offensiva e guardino al futuro con una crescente frustrazione.
In teoria non sarebbe questo il momento di fermarsi, per la Russia. Putin, del resto, ha chiarito più volte quali siano le linee rosse di una eventuale interlocuzione con l’Occidente sull’Ucraina. Primo: ritiro delle truppe di Kiev dal Donbass, da Kherson e da Zaporizhzhia, province che attualmente non sono ancora sotto controllo russo, se non in parte. Poi, il riconoscimento di questi territori (e della Crimea, annessa già nel 2014). Terzo, lo status dell’Ucraina come paese «non allineato», il che comporta il congelamento della sua richiesta di adesione alla Nato e forse anche alla Ue. Ma la semplice apertura di un dialogo diretto con Trump innesca una serie di altre positive conseguenze per Putin. La prima è quella di essere «sdoganato» e uscire dall’isolamento a cui vorrebbe costringerlo l’Europa. In realtà, un isolamento molto relativo se ha consentito a Mosca di porsi come punta di diamante del Sud Globale e rafforzare le relazioni con un gran numero di Paesi africani, asiatici e sudamericani «non allineati» al blocco occidentale.
IL NODO DELLE SANZIONI
L’isolamento, però, non è solo un concetto geopolitico o sterilmente diplomatico. È, in primo luogo, economico. Putin potrebbe quindi ottenere, dal disgelo, un allentamento delle sanzioni americane (se non europee). La fotografia di una possibile stretta di mano, o anche solo la notizia della prima telefonata tra i due leader, sarebbero di per sé una vittoria politica dello Zar, rispetto al refrain dell’amministrazione Biden: «Appoggio all’Ucraina per tutto il tempo che sarà necessario». Il secondo vantaggio di un’apertura di dialogo con Washington consiste proprio nel tempo che Putin guadagnerebbe.
Passerebbe il principio che non si può condurre una guerra difensiva all’infinito, contro forze soverchianti. La popolazione della Federazione russa è quattro volte quella dell’Ucraina e l’apparato militar-industriale di Mosca spinge l’economia consentendole di resistere anche alle sanzioni internazionali. Insomma, alla lunga le sorti di Kiev appaiono segnate. E se Trump accetterà il principio che per arrivare a un compromesso occorrono cessioni territoriali, si tratterà a quel punto di disegnare una nuova mappa e nuovi confini.
SUL CAMPO
La situazione sul terreno dà la misura e la direzione. Donbass e Crimea sembrerebbero persi. Putin, per quanto non sia riuscito a rovesciare il governo Zelensky e a conquistare la capitale, potrà presentarsi alla pubblica opinione russa come un vincitore. Ancora di più se otterrà un intervallo congruo di tempo durante il quale l’Ucraina non potrà entrare nella Nato (fors’anche nella Ue). Si vocifera di una moratoria di venti anni, secondo alcuni ex consiglieri di Trump. Uno degli obiettivi della guerra putiniana verrebbe così assicurato: evitare che, nell’immediato, l’Ucraina finisca nelle braccia dell’Alleanza atlantica e dell’Europa. Sarebbe anche marcato il destino di altri Paesi che vogliono entrare nella Ue e nella Nato, ma sono divisi all’interno, sottoposti alla guerra ibrida (e non solo) russa e non potranno più contare sull’appoggio concreto dell’Occidente in armi, per contrastare possibili invasioni: la Georgia e la Moldova, per non parlare di altri Stati insidiati da vicino dal confinante imperialismo russo, ossia la Polonia, la Finlandia e i Baltici, che godono però dello scudo Nato. L’allentamento delle sanzioni Usa consentirebbe poi a Mosca di far ripartire l’economia non di guerra. E c’è un elemento che gli analisti politici tendono a sottovalutare, ma che nella politica e nella comunicazione ha un suo valore.
Putin ha definito Trump «coraggioso». Si riferiva al modo in cui ha reagito all’attentato in cui per poco non è stato ucciso. «Ha dimostrato di essere un uomo», ha detto lo Zar in un linguaggio quasi «trumpiano».
Ed è pure questo un modo per uscire dall’isolamento, perché recupera un tratto personale di carattere forte condiviso che la gente, in Russia come negli States, non può che apprezzare. Perché anche la politica è spettacolo e lo sa bene Zelensky, il leader ucraino che sulla provenienza non politica propria e di Trump ha scommesso per imbastire buone relazioni con il nuovo inquilino della Casa Bianca, bypassando ostacoli e mediazioni. Per finire, Putin si prenderebbe la rivincita su leader come il francese Macron o sui britannici, esteuropei e scandinavi che lo hanno trattato finora da paria. Forse, assisterà addirittura a un loro ripensamento o retromarcia, a loro asserzioni più dialoganti, sulla scia americana. Putin potrebbe dimostrare coerenza e fermezza. «Le nostre posizioni sull’Ucraina non cambiano», è il messaggio lanciato da Mosca in queste ore.
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