Ministro Adolfo Urso, il governo si appresta a presentare la legge delega sul nucleare. Quale sarà la strategia che seguirete?
«L’Italia del miracolo economico credeva nel futuro e nella scienza, eravamo la terza potenza nucleare civile dopo Usa e Unione Sovietica e la terza nazione a lanciare un satellite nello spazio, dopo le due superpotenze. Dobbiamo credere nelle nostre capacità di guidare lo sviluppo come vi hanno creduto le generazioni che ci hanno preceduto. Questo vale per l’energia che è la prima delle industrie, senza la quale non vi è sviluppo».
APPROFONDIMENTI
Strategia che in che cosa si tradurrà?
«Realizzeremo in Italia i reattori di nuova generazione, gli Smr e poi gli Amr, cioè i piccoli reattori, puliti e sicuri, realizzati su base industriale, adattabili, componibili e trasportabili in un container per essere installati su richiesta delle imprese nel pieno rispetto dei vincoli ambientali. Ma c’è un altro pezzo in questa strategia».
Quale?
«Abbiamo investito oltre 7 miliardi sul comparto spaziale per essere i protagonisti nella Space Economy, che ci consentirà di governare meglio anche la transizione green».
Il 2024 si è chiuso con lo spettro dei dazi, lanciato dalla nuova presidenza americana. Più in generale, Trump deve farci paura?
«Il problema dell’Europa non è Trump e non è nemmeno la Cina. Sono le regole europee che non rispondono alla realtà dell’economia produttiva nel nuovo contesto globale, nella quale anche i dazi sono un elemento di politica commerciale. Il governo italiano, con l’autorevole leadership di Giorgia Meloni, è in prima linea sia nel dialogo con gli Stati Uniti sia nel guidare le riforme assolutamente necessarie, affinché anche la Ue realizzi una politica industriale adeguata alla sfida competitiva degli altri continenti».
L’Italia come si sta muovendo?
«Abbiamo presentato il “non paper” sull’auto, sostenuto da altri 14 Paesi, e poche ore fa quello per rivedere le regole del Cbam (il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, ndr) per sostenere le industrie energivore nella transizione green, come la siderurgia, la chimica, l’industria della carta e del vetro. A breve faremo altrettanto sul comparto strategico dei semiconduttori, sul quale, nel 2024, abbiamo annoverato dieci miliardi di investimenti in Italia. Basta con le follie ideologiche del Green deal che hanno portato al collasso dell’auto europea».
Tornando al Cbam, c’è il rischio che si trasferiscano le produzioni in Paesi extraUe, dove non vigono queste norme?
«Chi produce in Europa rispettando precisi vincoli ambientali non deve essere svantaggiato nella competizione globale. L’obiettivo è potenziare le misure contro il carbon leakage e il dumping, che favoriscono la delocalizzazione di produzioni strategiche. Per proteggere gli esportatori europei, proponiamo strumenti che garantiscano condizioni eque nei mercati esteri senza una tassazione delle emissioni simile all’Ets europeo».
Le imprese energivore chiedono un freno alle bollette.
«In linea con il Rapporto Draghi, nello stesso no paper, chiediamo di posticipare l’eliminazione graduale delle quote gratuite Ets per le industrie energivore, se emergessero rischi legati all’efficacia del Cbam».
Da quarantott’ore è stata approvata la manovra.
«È una legge di bilancio responsabile, rivolta alle imprese e al lavoro. Lo dimostrano il taglio dell’Ires e le modifiche a Transizione 5.0 per favorire gli investimenti. E lo hanno rilevato anche le agenzie di rating, in continuità con le precedenti realizzate dal governo Meloni. Peraltro aumentano gli investimenti stranieri nel nostro Paese, gli occupati, 850mila in più segnando il record storico, le entrate fiscali e l’inflazione si attesta al di sotto della media europea, mentre lo spread si è ridotto di oltre 120 punti. Siamo in procinto di agguantare la posizione di quarto Paese esportatore al mondo, superando persino il Giappone».
Intanto è scoppiato il caso Glencore a Portovesme, l’ultimo di una multinazionale che riduce o chiude la sua produzione in Italia.
«In questi due anni abbiamo risolto i casi più significativi che hanno coinvolto multinazionali, da Wartsila a Trieste, Marelli a Crevalcore, Fos Prysmian a Battipaglia, Whirlpool Emea a Napoli, trovando sempre altri investitori che hanno mantenuto stabilimenti e livelli occupazionali. Faremo altrettanto a Portovesme ove Glencore decidesse di abbandonare la produzione di zinco e piombo. Rilevo che l’anno è iniziato con il commissariamento di ADI, che ha consentito di salvare con l’ex Ilva anche la siderurgia italiana, e si conclude con la assegnazione di Piaggio Aerospace a Baykar, dopo oltre 6 anni di amministrazione straordinaria».
Con Piaggio Aerospace ai turchi di Baykar c’è un altro importante asset che va agli stranieri.
«Piaggio era già straniera: dieci anni fa fu venduta dal governo Renzi al fondo Mubadala degli Emirati Arabi. Poi quella operazione fallì come tante altre fatte in quegli anni, e Piaggio finì in amministrazione straordinaria. Noi abbiamo risolto anche questa crisi lascito del passato, con una soluzione industriale di grande livello, anche per realizzare nuove attività. Ricordo che sui veicoli senza pilota, i sistemi Uav, Baykar è leader mondiale».
I passi successivi?
«Questa iniziativa ci consente di realizzare nuove importanti partnership strategiche di ancor più grande respiro su cui stiamo già lavorando, come quella con la nostra Leonardo».
Avete messo le basi per un accordo con Stellantis, che non chiuderà stabilimenti in Italia. Ma nel 2025 la produzione auto resterà bassa.
«Risalirà nel 2026 del 50 per cento, anche grazie a investimenti realizzati nel prossimo anno con nuove piattaforme produttive e nuovi modelli anche ibridi, pari ad almeno 2 miliardi e senza il supporto di risorse pubbliche a cui l’azienda ha rinunciato affinché siano destinate interamente alle Pmi del comparto automotive. Investimenti che continueranno con pari entità anche negli anni successivi. Noi mettiamo in campo sin da gennaio oltre un miliardo per gli investimenti delle imprese della filiera».
L’Europa sembra respingere la richiesta partita dall’Italia di rivedere il calendario per l’uscita dai motori endotermici.
«La partita non è chiusa. La sostengono apertamente 15 Paesi, la maggioranza dei gruppi europei, con in testa Popolari e Consevatori, l’Acea, che rappresenta le case automobilistiche europee, le associazioni industriali di Italia, Germania, Francia, Spagna, ed anche il sindacato si muove. L’Europa delle imprese e del lavoro è con noi».
Sull’auto è a rischio la tenuta sociale dell’Europa?
«Al meeting della presidenza del Consiglio europeo che si svolse il 25 settembre a Bruxelles sul destino dell’auto, dissi con chiarezza che si stava profilando il collasso dell’auto europea e che se non ci fossimo mossi in tempo sarebbe accaduto quel che era già successo con le manifestazioni dei trattori. E infatti accadrà il 5 febbraio prossimo ci sarà una grande manifestazione dei sindacati europei, perché la realtà più forte delle ideologie. Proprio perché abbiamo visione siamo riusciti a mettere in salvo l’auto italiana, recuperando i disastri dei governi che ci hanno preceduto, mentre in altri Paesi – come dimostra il caso Volkswagen – si chiude e si licenzia».