Prima Damasco, poi Beirut. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha fatto tappa nelle due capitali sconvolte dal terremoto geopolitico che ha investito il Medio Oriente. In Siria, dove prima regnava Bashar al-Assad, adesso domina (non senza difficoltà) il leader degli ormai ex ribelli, Ahmed Sharaa. Mentre nella capitale libanese, lo strapotere di Hezbollah è stato minato dalla guerra contro Israele e l’elezione del presidente Joseph Aoun può essere l’inizio di un nuovo percorso.
Per Tajani, il blitz è servito soprattutto a riallacciare i fili dell’intricata diplomazia mediorientale italiana. Un’agenda che ha sempre seguito un filo rosso, quello del pragmatismo. E il ministro, incontrando Sharaa, alias Jolani, e il suo omologo Hassan Shibani, ha messo in chiaro uno degli obiettivi dell’Italia, quello di «essere un ponte tra la nuova Siria e l’Unione europea». Ponte che può essere decisivo soprattutto sul fronte dell’alleggerimento delle sanzioni. Damasco è pronta ad accogliere nuovi partner. La partita è già iniziata, con le potenze arabe che vogliono prendere le misure con Sharaa, Israele che continua a non fidarsi e la Turchia che ha fatto capire di avere un peso specifico decisamente rilevante. Ma l’Italia può fare leva almeno su tre elementi: un ambasciatore che da mesi lavora sul campo, i legami con la comunità cristiana e il rapporto sempre più solido con la Turchia. E non a caso, prima della visita del vicepremier a Damasco, ci sono state due telefonate: una tra il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan e Tajani, l’altra tra il presidente Recep Tayyip Erdogan e la premier Giorgia Meloni.
Tajani, che ieri ha visitato anche la Moschea degli Omayyadi poche ore prima della calca che ha ucciso tre persone, sa che Roma può giocarsi le sue chance. Ma gli ex ribelli devono dare garanzie sulla convivenza tra le varie componenti religiose ed etniche della Siria, mostrare di essere un’autorità legittima ed escludere le frange più radicali. E Jolani, oltre alla pacificazione e alla ricostruzione, deve gestire anche un altro dossier: quello dei profughi fuggiti durante la guerra civile. Tajani, in linea con Bruxelles, ha ribadito la necessità che «si stabiliscano le condizioni per un tranquillo ritorno dei rifugiati». Mentre Sharaa ha provato a rassicurare l’Italia e l’Europa dicendosi »pronto a bloccare l’immigrazione illegale».
Per la Siria e il Medio Oriente quello dei rifugiati è un tema essenziale. E la questione interessa anche il Libano, seconda tappa del tour del ministro degli Esteri. L’Italia, che ha un migliaio di caschi blu nel sud del Paese, guarda con attenzione a quello che accade a Beirut. L’elezione di Aoun era un passaggio necessario. Ma per il Libano si aprono ora altre sfide. Una è quella di mantenere la tregua con Israele, che ieri ha di nuovo colpito nel sud uccidendo cinque persone. L’altra è quella della ricostruzione.
UN PREMIER PER HEZBOLLAH
Infine, c’è il tema del nuovo governo. In parlamento c’è chi ipotizza una riconferma del premier Najib Mikati. Una sorta di premio di consolazione per i due movimenti sciiti, Amal ed Hezbollah. Ma la debolezza del Partito di Dio potrebbe anche agevolare un totale rinnovamento, con le forze anti-Hezbollah a dettare legge. Il gioco è complesso. E dopo l’arrivo del primo collega di Aoun, il cipriota Nikos Christodoulides, a Palazzo Baabda potrebbe presto essere il turno di Emmanuel Macron.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA