Quella sera Ida abbraccia forte Nino. Si proteggono a vicenda. “Stanno ammazzando mio marito – grida disperata – io vi riconosco e so chi siete”. Dalla moto che passa al rallentatore sparano quattro colpi a lui. Il quinto, più preciso, colpisce la ragazza. Uno solo e zittisce la sua richiesta d’aiuto. Ida Castelluccio ha 20 anni e un bimbo in arrivo, che morirà con lei. Nino Agostino, 28 anni, il marito agente di polizia, le cade accanto lungo la strada. Giovedì 30 gennaio, trentasei anni dopo, i giudici della Cassazione stabiliranno se Antonino Madonia, 73 anni, è la mente di uno tra gli omicidi più spietati che ancora aspetta una sentenza definitiva.
Così sono stati uccisi Nino Agostino e Ida Castelluccio: la sentenza
Madonia, condannato all’ergastolo in primo e secondo grado, è un po’ riduttivo definirlo boss della mafia siciliana. È di più: è stato il servitore e allo stesso tempo il beneficiario e uno dei garanti di quel rapporto inconfessabile con lo Stato che ancora oggi, tra silenzi, depistaggi e prescrizioni, condiziona il naturale corso della giustizia. Tanto che soltanto adesso i familiari di Ida e Nino (sotto, nella foto PalermoToday e vicino il titolo, nel giorno del loro matrimonio), possono sperare di vedere finalmente affermata la verità. Trentasei anni dopo l’agguato.
La loro vita e la loro morte sono racchiuse nelle carte della Corte d’assise d’appello di Palermo, che ha confermato la sentenza di primo grado del processo celebrato con rito abbreviato. L’amore, il matrimonio, il viaggio di nozze in Grecia. Il ritorno a casa, la paura, i cinque colpi calibro 38. Poi l’impunità dei colpevoli. Fino a oggi.
La polizia “parallela” che non cattura gli assassini di Ida e Nino
Quello che traspare, dalla ricostruzione dei giudici, è l’esistenza in Italia di due polizie di Stato. Uno è il corpo che tutti conosciamo: risponde alla Costituzione, alla legge, alle nostre richieste di aiuto. Uomini e donne al servizio dei cittadini, che a volte pagano con la vita il loro impegno. Come i martiri delle stragi di Capaci e via D’Amelio. E come l’agente Nino Agostino.
L’altra, ben descritta nella condanna all’ergastolo di Antonino Madonia, è invece una forza occulta. La stessa che in Sicilia risponde all’eredità di funzionari di polizia come Bruno Contrada e Arnaldo La Barbera. Ad agenti, più o meno segreti, come Giovanni Aiello, per anni conosciuto solo come Faccia da mostro. A quella geografia di croci che ancora oggi chiamano in causa il livello più impenetrabile del Sisde, il Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica formalmente sciolto nel 2007. E il suo Gruppo di ricerca latitanti mafiosi: che, almeno per l’omicidio di Ida e Nino, è una maschera dietro cui lo Stato e Cosa nostra si scambiano favori, patti di non aggressione, carriere. Potere.
Il mercato delle taglie: 100 milioni per prendere un latitante
In quegli anni l’agente Agostino lavora al commissariato di San Lorenzo a Palermo. “Nino Agostino – è scritto nella sentenza di appello che condanna il boss Madonia – era a conoscenza della discutibile prassi instaurata dai servizi e dal Sisde: in particolare, di invogliare agenti dei vari commissariati di zona ad adoperarsi come sensori sul territorio, al fine di acquisire notizie utili all’individuazione e alla cattura di latitanti mafiosi, al di fuori delle loro mansioni di servizio, in cambio di un premio in denaro”.
Si parlava di centinaia di milioni di lire, come ha confermato uno 007, l’allora capitano dei carabinieri Massimo Grignani, distaccato al centro Sisde di Palermo: “Il prezziario – scrivono i giudici – prevedeva, come criterio di massima, di commisurare l’entità del premio agli anni di latitanza”.
Il doppio gioco di Arnaldo La Barbera: è l’agente Rutilius
Un testimone riferisce che anche l’allora capo della squadra mobile, Arnaldo La Barbera, in futuro famoso questore di Palermo, in occasione dell’arresto di un ricercato aveva telefonato a un suo referente nei servizi per sapere “a quanto ammontasse la taglia spettante per la cattura di quel latitante”.
Una rivelazione che, sempre secondo i giudici, trova conferma indiretta nella documentazione trasmessa dall’Aisi (come si chiama oggi il Sisde) “da cui risulta che La Barbera era stato reclutato a pagamento, e cioè dietro corresponsione di un compenso ricavato da fondi del servizio, per collaborare alle attività info-investigative del medesimo servizio”. Il suo nome in codice, nell’impossibile ruolo di capo della polizia giudiziaria e di 007, era Rutilius.
Guido Paolilli, l’amico poliziotto che tradirà la famiglia
Così anche l’agente Agostino parte alla ricerca di latitanti. È convinto di lavorare per lo Stato. E poiché è un bravo poliziotto, punta subito in alto. Si mette sulle tracce della cupola: Totò Riina e Bernardo Provenzano (sopra, la foto segnaletica). Va così vicino agli intoccabili che Giovanni Brusca, allora imprendibile boss, un giorno si accorge di essere pedinato dal giovane agente.
Nino Agostino si confida con un superiore, passato per l’Alto commissariato antimafia: Guido Paolilli, poliziotto di fiducia sia di La Barbera, nel suo doppio ruolo di funzionario di polizia e 007 del Sisde, sia di Bruno Contrada, l’allora capo del Sisde in Sicilia e poi numero due in Italia (sopra, nella foto PalermoToday i genitori di Nino Agostino, Augusta Schiera e papà Vincenzo, con la barba lasciata crescere dal giorno dell’agguato).
Nino Agostino scopre la base segreta di vicolo Pipitone
Si sono conosciuti quindici anni prima in un campeggio, a Capaci. Paolilli in vacanza con la famiglia aiuta Vincenzo Agostino, il papà di Nino, a montare la tenda. Diventano amici. E Nino, allora tredicenne, deciderà di arruolarsi in polizia proprio per l’ammirazione di Paolilli.
In famiglia confida il suo desiderio: entrare nei servizi segreti per combattere la mafia. Ha fiuto investigativo l’agente Agostino. E, quando ha tempo, mette sotto osservazione vicolo Pipitone (foto sotto), una strada senza uscita all’Acquasanta, la borgata marinara di Palermo sotto il mandamento di Resuttana. Dove comanda Antonino Madonia.
La strada dove lo Stato scende a patti con la mafia
Quello che Agostino non sa è che lo Stato, o almeno la sua polizia parallela inviata in Sicilia, non ha nessuna intenzione di catturare i capi dei capi. Anche perché vicolo Pipitone è la loro base segreta. Il luogo degli incontri con i funzionari del Sisde. E il patibolo della lupara bianca, dove fanno sparire nemici e traditori. Sentite cosa succede.
Le indagini sul duplice omicidio, è scritto nella sentenza d’appello, finiscono “per ricondurre ancora una volta il delitto nell’alveo degli interessi del mandamento di Resuttana capeggiato dai Madonia, con i quali vari esponenti delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza erano risultati aver intrattenuto rapporti più o meno continuativi. Tanto emergeva dalle indagini, con riferimento a Bruno Contrada, ad Arnaldo La Barbera, a Giovanni Aiello”.
Arrivano insieme Faccia da mostro e Bruno Contrada
Vito Galatolo oggi è un collaboratore di giustizia. Allora è un ragazzino e fa la sentinella proprio in vicolo Pipitone. È lì anche quando i boss Antonino Madonia, Gaetano Scotto e altri del mandamento incontrano Bruno Contrada (sotto, nella foto PalermoToday) e Giovanni Aiello, che formalmente si è dimesso dalla polizia, ma lo vedono sempre accanto al dirigente dei servizi. “Quando c’è venuto questo signore chiamato mostro, quando c’era il dottor Contrada, che sono entrati tutti e due assieme – racconta Galatolo – quel giorno ricordo che sono entrati loro con le moto e si sono messi di fronte, c’è un muro in fondo al Pipitone… Questi due poliziotti. Questi due Piazza e Agostino”.
Piazza è Emanuele Piazza, ex agente di polizia e collaboratore del Sisde. Sparirà nel nulla a 30 anni il 16 marzo 1990. “Il dottor Contrada – continua il collaboratore – era l’unico a livello così importante che veniva a parlare personalmente in Fondo Pipitone con Madonia, con altri esponenti, tra cui c’era anche Gaetano Scotto… Noi avevamo un maresciallo dei carabinieri, Salzano, che era il maresciallo dell’Acquasanta, che era una persona corrotta… e lui ci avvisava quando dovevano venire altri personaggi, li accompagnava, faceva un posto di blocco davanti al Fondo Pipitone, all’entrata”. Per proteggere, secondo la sentenza, le riunioni tra Stato e mafia.
Giovanni Aiello va a casa della famiglia Agostino
Gaetano Scotto, uno dei boss sempre presenti in vicolo Pipitone, va all’aeroporto di Catania quando Ida e Nino partono per il viaggio di nozze. È lì per pedinarli. Augusta Schiera, la mamma dell’agente Agostino, se ne accorge. Il figlio è preoccupato. E mentre i ragazzi sono in vacanza in Grecia, alla casa al mare dei genitori a Villagrazia di Carini arrivano due sconosciuti.
Sono in moto. Li vede il papà, Vincenzo Agostino. Loro si presentano come colleghi del figlio. Chiedono di Nino. Una visita strana. Uno resta in sella. L’altro varca il cancello del giardino senza permesso. Soltanto ventidue anni dopo, il 25 maggio 2011, gli viene mostrata la foto dell’agente Giovanni Aiello. E il signor Agostino, ormai con la barba lunghissima in attesa che si trovino gli assassini di Nino e Ida, lo riconosce. Ripete il riconoscimento durante la ricognizione personale nel 2016. Senza ombra di dubbio: Giovanni Aiello (sopra, nella foto PalermoToday) è uno dei due sconosciuti, quello rimasto sulla moto durante il sopralluogo. Mancano pochi giorni al duplice omicidio.
La sera dell’omicidio: cinque colpi di 357 Magnum
Nino Agostino e Ida Castelluccio vengono uccisi con un revolver 357 Magnum la sera del 5 agosto 1989 proprio lì. Davanti alla casa al mare dei genitori, a Villagrazia di Carini. Nel punto esatto dove si erano fermati Giovanni Aiello e il complice. “Non va dimenticato – scrivono i giudici – come l’ipotesi che l’Aiello possa aver avuto un ruolo nell’omicidio Agostino sia suffragata… dal riconoscimento di persona operato da Vincenzo Agostino. Ma è chiaro che avere avuto, in ipotesi, un ruolo di supporto non escluderebbe affatto la paternità mafiosa del delitto, se si conviene sulla premessa che Aiello aveva un legame consolidato nel tempo con gli uomini d’onore… e che era, in sostanza, al soldo dei Madonia e dei Galatolo”.
Una volta ucciso, a casa dell’agente Agostino arriva anche l’amico di famiglia, Guido Paolilli. È lui a perquisire l’armadio di Nino e a raccoglierne gli appunti. Il fatto che se ne occupi di persona può essere una speranza per la famiglia Agostino. Ma molti anni dopo, nella sua casa a Montesilvano in provincia di Pescara, Paolilli viene intercettato mentre segue l’intervista a “La vita in diretta” dei genitori del poliziotto. È il 21 febbraio 2008.
Il depistaggio dell’amico di famiglia: distrutti i documenti
In tv parlano dell’armadio. E il figlio, Guerino Paolilli, chiede al padre cosa ci fosse dentro: “Una freca di cose – risponde l’ex amico di famiglia – che proprio io ho pigliato e poi ne ho stracciato…”. Tante cose che però, si scopre ora, il poliziotto allievo di Contrada ha distrutto. Un nuovo schiaffo alla famiglia di Nino Agostino, assistita dall’avvocato Fabio Repici.
Guido Paolilli è anche l’investigatore che all’inizio suggerisce con Arnaldo La Barbera la pista sentimentale. Quella sbagliata, una perdita di tempo. Scoperto pochi anni fa il depistaggio, Paolilli viene indagato per favoreggiamento aggravato. Ma il procedimento verrà archiviato per intervenuta prescrizione. Il tempo salva anche Giovanni Aiello, morto per cause naturali prima della fine del processo (sopra, nella foto PalermoToday i genitori del poliziotto Nino Agostino).
Sabotato anche il processo per la strage Borsellino
Così come è passato ad altra vita il prefetto La Barbera, ben prima che si scoprisse il colossale depistaggio dopo l’attentato contro il magistrato Paolo Borsellino e i cinque poliziotti della sua scorta (sotto, nella foto PalermoToday): “Le verità emerse – ricorda la sentenza per l’omicidio di Ida e Nino Agostino – per quello che è stato definito, in relazione all’azione di inquinamento probatorio compiuta nelle indagini prima e nei processi poi sulla strage di via D’Amelio, come il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana, gettano una luce a dir poco inquietante sulla figura e sul ruolo dell’ex capo della squadra mobile ed ex questore di Palermo, Arnaldo La Barbera, che di quel gigantesco depistaggio fu il principale artefice e ispiratore”.
Due anni fa Bruno Contrada ha invece incassato dallo Stato 285 mila euro per ingiusta detenzione. È il risarcimento ricevuto, grazie a una sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo, calcolando i giorni trascorsi in carcere dopo la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. Un caso unico che i giudici del processo per l’omicidio dell’agente Agostino e della moglie risolvono così: la decisione di Strasburgo “non implicava alcuna revisione del giudicato per ciò che concerne i fatti accertati, la loro qualificazione giuridica e il giudizio di colpevolezza dell’imputato per la condotta di concorso esterno… sicché – spiegano – non si può parlare di annullamento della condanna, ma di ineseguibilità dei suoi effetti”.
Perché lo Stato risarcisce Bruno Contrada: 285mila euro
L’Europa, insomma, non può cancellare i fatti che i processi in Italia hanno ricostruito. Contrada, che oggi è un pensionato statale di 94 anni e ha ottenuto la revoca della destituzione dalla polizia, è comunque risultato estraneo all’omicidio di Nino Agostino e Ida Castelluccio.
Vincenzo Agostino: “È solo l’inizio della verità” – di Sandra Figliuolo
Antonino Madonia, secondo la sentenza, avrebbe infatti affidato a Gaetano Scotto l’esecuzione del delitto senza informare il funzionario del Sisde: proprio per impedire che la presenza dell’agente in vicolo Pipitone e la sua caccia ai latitanti potessero danneggiare il prezioso rapporto di Cosa nostra con la polizia parallela nascosta nelle ombre dello Stato.
Omicidio di Ida e Nino Agostino: cosa succederà ora
Il 7 ottobre 2024 Gaetano Scotto – il killer probabilmente riconosciuto da Ida Castelluccio perché l’aveva notato in aeroporto, “io vi riconosco e so chi siete” – viene condannato in primo grado, in un altro processo con rito ordinario. Ergastolo anche per lui. Ora si attendono le motivazioni della sentenza. Papà Vincenzo è morto prima di potersi tagliare la lunga barba. Così come la mamma Augusta. Ma dopo trentasei anni, la battaglia di Nino e Ida per ottenere giustizia è a un passo dal traguardo.