Settemila persone ad Aviano, cinquemila a Sigonella, duemila a Camp Darby. Includendo i militari e i civili, le basi statunitensi in Italia costituiscono, nei fatti, più che una comunità: per dimensioni, rappresentano una città o quasi. E, intorno a loro, ruota l’asse di un pianeta denso e ricco di famiglie, consumi, servizi, necessità economiche e spese. Un organismo vivente. Le ricadute sui diversi territori sono molteplici. Un esempio, del resto, vale per tutti: la sola base di Aviano, in provincia di Pordenone, produce un indotto pari a mezzo miliardo di euro. Ed è logico dedurre che tutte le basi americane del nostro paese generino un beneficio economico capace di superare ampiamente il miliardo di euro. Un’enorme quantità di denaro, certo, destinato però a decrescere, almeno a giudicare dalle riforme varate a Washington. Perché i territori adesso temono fortemente di entrare in un tunnel di difficoltà e, ancor peggio, di dover fronteggiare uno sfilacciamento del tessuto sociale. Dai consumi connessi alle basi americane dipendono, a scalare, migliaia di famiglie, visto che nella cifra relativa agli impatti economici bisogna includere il business degli affitti, le forniture, i trasporti, i negozi al dettaglio, le imprese di pulizia, gli insegnanti degli asili, i diversi appalti (di dimensioni più o meno modeste), i rifiuti. In sintesi, tutto quanto può servire una città formata da migliaia di persone di età, sesso e abitudini differenti concorre a formare l’indotto. Mostra una certa inquietudine Paolo Tassan Zanin, il sindaco di Aviano: «Ci sono tre elementi, nel rapporto tra la nostra comunità e quella statunitense che gravita attorno alla base. Naturalmente al primo posto metto l’occupazione. Ci sono settecento persone che lavorano, più altre trecento legate all’Aeronautica. Un totale di mille persone che è nostro dovere salvaguardare. Poi ovviamente c’è il tema della ricaduta economica, che è enorme. Tra affitti, ristoranti, forniture da parte di aziende locali. Stiamo parlando di un intero mondo. Il terzo punto è allo stesso tempo importante: riguarda un’integrazione crescente tra le due comunità».
LE TESTATE NUCLEARI
La base di Aviano è tra le più grandi d’Europa, conta dunque mille civili circa e – non marginalmente – dà accoglienza ad alcune testate nucleari americane. Ha vissuto momenti di magnificenza, eppure ora tra i civili si avverte una dilagante sensazione di pessimismo, se è vero che i tagli sbandierati dal Doge di Elon Musk rappresentano i puntini – ancora non uniti – di una figura molto più ampia e in grado di indicare, in via incontrovertibile, il progressivo ridimensionamento della struttura. Nulla, nei ragionamenti di chi abita la provincia di Pordenone, sembra viaggiare in senso opposto a quello di un evidente e prossimo demansionamento di tanti lavoratori dell’area.
LA PROMESSA
A Camp Darby, a Ghedi (in provincia di Brescia) e a Sigonella si respira un’aria non differente. I tagli ai fondi per le carte di credito, abbinati al blocco delle assunzioni dei civili italiani, hanno ormai assunto il contorno e la sostanza di una promessa che difficilmente non sarà mantenuta. È vero che gli oltre 4.000 italiani dipendenti civili degli insediamenti militari statunitensi sono regolati dal contratto nazionale del nostro paese, ma è altrettanto logico che davanti alla riduzione delle spese decretata a Washington anche il personale italiano corre il pericolo di dover chinare il capo. Ne deriverebbe un aumento della disoccupazione, che avrebbe subito effetti drammatici sulla tenuta economica di aree piuttosto isolate, o cresciute soltanto coagulandosi intorno alla base nella certezza che mai si sarebbero presentati problemi simili. A Camp Darby già nel 2015 si iniziò a ragionare di una possibile «riconversione ad usi civili della base Usa» per attenuare gli effetti delle dismissioni. E non basta. Perché le amministrazioni locali hanno già lanciato grida d’aiuto al governo centrale. E il rischio è di una ricaduta degli eventuali provvedimenti a tutela degli esuberi sul bilancio dello Stato, specie sul piano degli ammortizzatori sociali. Oltre, chiaramente, all’erosione di diverse centinaia di milioni di euro di indotto economico nel conto del pil italiano.
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