Non bisogna lasciarsi ingannare dalla combinazione tra titolo e sottotitolo di questo libro di Alessandro Barile, La protesta debole. I movimenti sociali in Italia dalla Pantera ai No Global (1990-2009) pubblicato da Mimesis nella sua collana Passato Prossimo (pp. 180, euro 16). Non è, infatti, il catalogo di errori commessi dalla generazione e dai soggetti che riuscirono a chiudere con gli anni ’80 per sfociare, da lì a dieci anni, nel più importante esperimento di convergenza e messa in rete di movimenti, vertenze, culture alternative e antagoniste come non si registrava sul pianeta dal 1968.

IL MOVIMENTO altermondialista è stata l’ultima esperienza a coinvolgere settori sociali decisamente più ampi del perimetro dei soggetti politici e associativi organizzati che, a loro volta, sono stati innervati e rigenerati (o sconvolti) dall’incontro con quella che venne definita «l’eccedenza», su cui molto si ragionò tanto negli ambiti accademici quanto in quelli politici.

Però è vero, quel movimento «di movimenti» è uscito traumatizzato dallo scontro frontale prima con l’apparato repressivo poliziesco dispiegato tra Napoli e Genova nella primavera-estate del 2001, poi con il complesso militare-industriale che ha imposto il paradigma della guerra globale dall’11 settembre in poi. Al punto da non reggere, e in Italia più che altrove, l’impatto con la crisi economica del 2007-2008.

Perché si passa da una fase in cui «nulla è come prima» a una in cui «nulla è come allora»? Com’è possibile che una esperienza di movimento transiti da una valenza oppositiva-alternativa a una soluzione adattiva? Domande come queste ritornano spesso negli approcci con cui ricercatori e attivisti interrogano le relazioni tra un ciclo di lotta e un altro. Barile, storico e sociologo che si occupa in particolare di storia del comunismo italiano, suggerisce una pista che evita le trappole di una lettura superficiale della persistenza di nomenclature e simbologie: «il più prossimo dei cicli di lotta in cosa non fare». Può essere un consiglio utile per esplorare affinità e divergenze tra stagioni di lotte ravvicinate e che coinvolgono gli stessi attori trasformandone i connotati com’è accaduto, appunto, in questo Paese.

Non sembri uno spoiler se si squaderna la tesi di Barile perché serve a rendere giustizia all’equivoco innescato dalla combinazione infelice titolo-sottotitolo. L’autore invita a indagare con maggiore attenzione la relazione tra movimento No Global e le varie forme di populismo del nuovo secolo. Lui ci prova seguendo una parabola che parte dalla fine degli anni ’80, da un immaginario che trova un punto di ripartenza nella battaglia del Leoncavallo (agosto 1989) per sviluppare una protesta «debole». Debole, in ultima analisi, perché l’onda d’urto del crollo finanziario del 2008, ne cambierà il segno, da «utopistico-cosmopolitico «a «realistico-sovranista» – consegnandola ai «maghi della pioggia», come Grillo e Casaleggio, che hanno costruito le soluzioni populiste disinnescando ogni possibile radicalità contenuta nelle istanze ambientaliste, sociali e pacifiste che pure non sono mai sparite dal dibattito pubblico.

SECONDO BARILE i segnali di «debolezza» e di ambiguità c’erano già prima, a volte celati dai meccanismi di negoziazione e ricodifica di pratiche, idee e legami con il ciclo di lotte precedente, quello più «forte» degli anni ’70, sociologicamente e ideologicamente meno «inafferrabile».

Probabilmente non è l’unica strada possibile (manca, per esempio, una riflessione sulle ragioni che hanno impedito la generalizzazione della forma social forum come istituzione di movimento) per collegare la Pantera al presente, ma la direzione intrapresa da Barile ha certamente il merito di non crogiolarsi sulla presunta inafferrabilità sia dei movimenti sociali sia del populismo e arrendersi a una altrettanto presunta autonomia del presente.