Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – In occasione della Giornata della Terra (22 aprile) sono stati annunciati i sei vincitori e vincitrici del Goldman environmental prize 2025, spesso definito (erroneamente) «il Nobel per l’Ambiente», assegnato agli attivisti ambientali che si sono distinti per la protezione dei loro ecosistemi e delle comunità che li abitano. 

Tra le storie più intriganti – e più vicine a noi italiani – c’è quella di Semia Gharbi, tunisina di 57 anni, scienziata ed educatrice ambientale molto influente nel suo Paese. Ora è presidente dell’Association of environmental education for future generations, una non profit che – a proposito di scuole – collabora con il ministero dell’Istruzione tunisino per diffondere maggiore consapevolezza sulla tossicità di alcuni materiali di uso comune.  

Per capire le ragioni dietro il successo di Gharbi, facciamo un passo indietro. Nel 2019, l’azienda tunisina Soreplast e l’italiana Sra s.r.l. (Sviluppo risorse ambientali) firmarono un accordo per il riciclo della plastica proveniente dal nostro Paese. Tra maggio e luglio del 2020, dal porto di Salerno sbarcarono in Tunisia 282 container con 7.900 tonnellate di rifiuti «presumibilmente riciclabili» da trattare presso gli impianti di Soreplast. 

Le autorità portuali, però, scoprirono che i container partiti dall’Italia non contenevano materiali riciclabili, bensì rifiuti domestici comuni, impossibili da valorizzare e destinati alle discariche tunisine (già in grave affanno). 

 La notizia divenne di dominio pubblico, ma i container colmi di rifiuti urbani rimasero comunque bloccati al porto di Susa, in Tunisia. A questo punto entrò in campo Semia Gharbi, che si mobilitò per convincere governi e amministratori locali a restituire all’Italia la montagna di materiale non riciclabile proveniente dalla Campania. 

Gharbi fece uno sfibrante lavoro di advocacy che solitamente richiederebbe l’impegno di dieci o venti persone diverse: scrisse centinaia di comunicati stampa, inviò lettere ai ministeri e ai commissari europei, organizzò conferenze e incontri con politici ed esperti. 

Uno dei momenti chiave della sua campagna avvenne verso la fine del 2021, quando un relatore speciale dell’Onu – dopo aver ricevuto dei documenti da Semia Gharbi – condusse un’indagine in Italia e pubblicò un report per chiedere al governo Draghi di «formulare e attuare un programma per garantire la gestione e lo smaltimento ecocompatibile dei rifiuti restituiti in Italia dalla Tunisia, nonché un piano per la restituzione dei container rimasti in Tunisia». 

Grazie alla tenacia di Gharbi vennero arrestate in totale più di quaranta persone per «attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti»; l’allora ministro tunisino per l’Ambiente, Mustapha Laroui, venne condannato a tre anni di reclusione e fu costretto a dimettersi. La vicenda si chiuse non solo con la firma di un accordo tra Roma e Tunisi per la restituzione dei container rimasti al porto di Susa, ma anche con un rafforzamento delle norme dell’Unione europea sull’esportazione dei rifiuti.