Al funerale di Papa Bergoglio che si terrà sabato 26 aprile sono attese decine di capi di stato e personalità politiche. Si dà per scontato, però, che non ci sarà il presidente della federazione russa Vladimir Putin. Il motivo, si dice, è che verrebbe subito arrestato dalle forze dell’ordine italiane a causa del mandato di cattura emesso nel marzo 2023 da parte della CPI, cioè la Corte penale internazionale. Ma non è così: Putin non rischierebbe l’arresto in Italia per via di una decisione politica e di un processo burocratico.

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Perché Putin dovrebbe essere arrestato

L’accusa nei confronti di Putin è tra le più gravi nel diritto internazionale: crimini di guerra legati alla deportazione forzata e al trasferimento illegale di bambini ucraini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, durante l’invasione iniziata nel febbraio 2022. Da quel momento in poi, effettivamente, il mandato della CPI è formalmente valido per tutti gli Stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma. E l’Italia è uno di questi Paesi.

Ma il fatto che il nostro paese sia membro della Corte penale internazionale fa sì che l’Italia sia tenuta a collaborare con la Corte nell’esecuzione dei mandati soltanto ipoteticamente. Come riporta un’inchiesta del Corriere della Sera infatti il Ministero della Giustizia italiano non avrebbe mai trasmesso il mandato d’arresto nei confronti di Putin alla Procura generale di Roma.

Perché l’Italia non può arrestare Putin

La mancanza di questo passaggio renderebbe Putin, come altri leader mondiali su cui pendono mandati di cattura simili, estremamente difficile da arrestare. La trasmissione del mandato d’arresto infatti serve affinché un tribunale italiano possa attivarsi per, come si dice, “dare esecuzione alla richiesta di arresto”. Ad oggi quindi, al contrario di ciò che si crede, non ci sarebbe una base legale per poter arrestare Vladimir Putin in Italia.

Sempre secondo il Corriere non si tratterebbe di una svista o di una particolare lentezza amministrativa, ma di una decisione politica. Una scelta del governo, e in particolare del Ministro Carlo Nordio, che rientra in una logica di garanzia di “immunità” ai leader mondiali. Per lo meno finché sono in carica. Probabilmente la politica del governo italiano in questo senso risponde a un’esigenza di prudenza e di terzietà, che garantirebbe al nostro paese una via diplomatica solida anche con paesi come Russia e Iran.

L’inchiesta del Corriere riguarda nello specifico Putin e l’atto del ministro che lo riguarda, ma sembrerebbe essere una prassi. Lo stesso è successo nel gennaio del 2024, quando il generale libico Osama Almasri è stato arrestato all’aeroporto di Torino su richiesta della CPI, che lo accusava di crimini contro l’umanità. Anche in quel caso, il mandato d’arresto non fu trasmesso (o per lo meno non tempestivamente) alle autorità giudiziarie, e quindi il generale libico fu successivamente scarcerato e lasciato libero di rientrare in Libia.

Se i sostenitori di questa linea governativa ne sottolineano i vantaggi diplomatici per il nostro paese (l’Iran e gli Stati Uniti stanno trattando sul nucleare a Roma) i critici sottolineano come la mancata esecuzione del mandato contro Putin sia un segnale di “debolezza”. Una mossa che rischierebbe di minare la credibilità dell’Italia come paese importante nel diritto internazionale e nell’architettura della giustizia penale globale.

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Dal 2017 collabora con Esquire Italia, per cui ha scritto reportage dall’Africa, dalla Norvegia, dall’Australia, dalla Polonia, dalla Francia e dal Parlamento europeo. Si occupa di politica estera, attualità e ambiente. Scrive per Wired Italia “Non Scaldiamoci”, una newsletter settimanale sulle conseguenze politiche dei problemi ambientali. È caporedattore de L’indiscreto e collabora con Linkiesta e Il Foglio. Ha insegnato come docente esterno all’Università di Ferrara.