Osama bin Laden, mente degli attentati dell’11 settembre 2001 contro le Torri Gemelle di New York e il Pentagono, nonché fondatore dell’organizzazione terroristica internazionale al-Qaida, e Saadi Gheddafi, terzo figlio di Muammar Gheddafi, ex leader de facto della Libia, pur nella diversità delle loro storie e vicende hanno una cosa in comune: entrambi erano destinatari di una “red notice”, letteralmente gli avvisi rossi diffusi dall’Interpol per consentire la detenzione provvisoria di una persona in attesa di estradizione.

L’Interpol, la “polizia internazionale” con sede a Lione in Francia, composta da 196 Paesi membri, ha l’obiettivo dichiarato di rafforzare la cooperazione tra le forze dell’ordine e la lotta al crimine transnazionale. Tuttavia, secondo numerosi esperti e organizzazioni per i diritti umani, il sistema delle red notice è sempre più utilizzato in modo improprio da governi autoritari per colpire oppositori politici e voci critiche rifugiate all’estero.

Una detenzione costata cara ai contribuenti italiani

È il caso di una imprenditrice di origine cinese residente in Germania, fermata mentre si trovava ad Ancona nell’estate del 2022. Su di lei pendeva una red notice per presunti reati economici in Cina. Sul territorio italiano, sotto il sole cocente dell’estate, la donna è stata arrestata in esecuzione di un mandato dell’Interpol, emesso su richiesta del regime di Xi Jinping (nella foto vicino al titolo). Descritta dalle autorità di Pechino come “una latitante e autrice di truffe miliardarie”, ha trascorso 205 giorni in carcere in Italia prima di essere scagionata. Lo Stato italiano è stato così condannato a versarle oltre 48mila euro di risarcimento per i giorni di detenzione “ingiustamente sofferti”, come recita l’ordinanza di accoglimento della Corte d’appello di Ancona.

Praticamente lo Stato italiano ha dovuto risarcire l’ex detenuta innocente per un errore giudiziario indotto dal regime comunista. La pressione diretta e sistematica esercitata dalle autorità cinesi per forzare il ritorno in patria dell’imputata, ha però convinto lo Stato italiano a negare l’estradizione. La decisione è stata presa dalla Corte di cassazione il 1° marzo 2023, che ha rilevato come le condizioni carcerarie e giudiziarie in Cina non garantiscano il rispetto dei diritti fondamentali. A rafforzare questa scelta hanno contribuito anche le informazioni emerse durante il procedimento: tra giugno e dicembre 2021, come è dimostrato dai documenti processuali, la polizia cinese avrebbe trattenuto il fratello della donna senza informarne la famiglia, sottoponendolo a “trattamenti inumani e degradanti”, nel tentativo di esercitare una forma di coercizione indiretta. 

Così lo spionaggio e la disinformazione cinese sono una minaccia per l’Italia – di Serena Console

Poco prima della decisione italiana, c’è stato un passaggio chiave che ha cambiato le sorti delle procedure di estradizione verso la Cina. Il 6 ottobre 2022, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso la sentenza Liu contro Polonia, stabilendo che la tutela dei diritti della persona in via di estradizione deve prevalere sul corretto funzionamento della cooperazione giudiziaria internazionale. Si è trattato di una sentenza coraggiosa, che ha posto al centro il rispetto dei diritti umani come condizione imprescindibile per qualsiasi forma di collaborazione internazionale in ambito giudiziario.

Tuttavia, la legge italiana prevede margini di discrezionalità. In base all’articolo 718 del codice di procedura penale, il ministro della Giustizia ha la facoltà di revocare le misure cautelari e non concedere l’estradizione. Due casi recenti – quello di Mohammad Abedini, ingegnere iraniano arrestato a Milano, e del generale libico Najeem Almasri, poi rimpatriato – hanno riacceso il dibattito sull’uso politico delle red notice e sul ruolo delle istituzioni nazionali di fronte a potenziali abusi dell’Interpol.

L’attività di polizia al servizio di regimi e dittatori

Diverse organizzazioni internazionali denunciano da anni l’abuso del sistema di notifica dell’Interpol da parte di stati come Russia, Cina, Iran e Turchia. Le red notice, pensate per colpire criminali internazionali, sono state invece spesso rivolte contro difensori dei diritti umani, attivisti della società civile e giornalisti, in violazione degli standard internazionali.

L’ultimo faro su questo fenomeno è stato acceso dalla recente inchiesta China Targets (Obiettivi cinesi) dell’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), realizzata in collaborazione con 43 testate in 30 Paesi. L’indagine ha documentato come il governo cinese utilizzi sistematicamente le red notice e le richieste di estradizione per inseguire dissidenti, oppositori e sospetti “nemici del partito” anche all’estero, grazie alla complicità – attiva o passiva – di governi e istituzioni internazionali.

Il peso cinese: all’Interpol 13 milioni di dollari

I Paesi che hanno firmato un trattato di estradizione con la Cina, tra cui l’Italia, devono fare i conti con un sistema giudiziario che, secondo l’organizzazione non governativa Safeguard Defenders, presenta un tasso di condanne del 99,98 per cento nei casi penali. Le sparizioni forzate e le torture sono solo alcuni degli strumenti usati dal sistema giudiziario nella Repubblica popolare. La repressione e la persecuzione, infatti, non conoscono confini. 

Ma è difficile fare ostruzione a un potere economico e politico come la Cina. Il governo di Pechino è oggi il secondo maggior contributore al bilancio dell’Interpol, con 13,7 milioni di dollari versati nel 2024, alle spalle soltanto degli Stati Uniti, che hanno stanziato 19,8 milioni. Ha inoltre distaccato 11 agenti presso il Segretariato generale dell’agenzia internazionale nel 2023 e finanzia regolarmente operazioni speciali, in particolare contro le frodi nelle telecomunicazioni e il traffico di armi. Senza considerare che nel 2016, Meng Hongwei (foto sotto), all’epoca viceministro della Pubblica sicurezza cinese, è stato nominato presidente dell’Interpol. Il suo mandato è stato però bruscamente interrotto due anni dopo, quando, durante un viaggio in patria, è stato arrestato con l’accusa di corruzione. Condannato a 13 anni di carcere, Meng è scomparso dalla scena pubblica. Il comando dell’agenzia è ora nelle mani dell’emiratino Ahmed Naser Al-Raisi. 

Meng Hongwei (LaPresse)

Ciononostante, le red notice emesse da Pechino non perdono di efficacia. Secondo dati ufficiali, la Cina ha utilizzato lo strumento degli avvisi di cattura internazionale per localizzare, arrestare e rimpatriare almeno 479 persone nell’ultimo decennio. Tra queste, 62 facevano parte dei “100 principali obiettivi” resi pubblici da Pechino nel 2015 nell’ambito della campagna anticorruzione lanciata dal presidente Xi Jinping. Un dato che si inserisce in un contesto ben documentato dall’inchiesta internazionale “China Targets”, basata su testimonianze dirette di oltre 100 persone colpite dalla repressione transnazionale cinese in 23 Paesi. Il lavoro giornalistico si fonda anche su registrazioni audio e video di interrogatori, documenti riservati e altri materiali interni al sistema giudiziario cinese.

Gli influencer stranieri al servizio del Partito comunista cinese – di Serena Console

Le prove raccolte dal gruppo giornalistico mostrano come il regime di Pechino faccia ricorso a un’organizzazione di cooperazione internazionale per mettere a tacere i dissidenti e gli oppositori al suo potere, compresi coloro che non si trovano in Cina. Opporsi a una superpotenza come la Cina, soprattutto per motivi politici o economici, resta difficile anche per le democrazie occidentali. Ma ignorare gli abusi, oggi documentati in modo sistematico, non è più un’opzione.

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