Nella mattinata del 7 maggio su disposizione della Procura la polizia ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Piacenza e ha arrestato un noto medico primario dell’Ospedale Civile di Piacenza, sottoposto ad indagini per i delitti di violenza sessuale aggravata ed atti persecutori. Contestualmente, è stata data esecuzione ad un decreto di perquisizione esteso ai luoghi di lavoro a carico dell’arrestato, per proseguire con gli accertamenti. Si legge in una nota della questura che riportiamo integralmente:

«Le indagini delegate alla Squadra Mobile di Piacenza sono state svolte anche grazie ad intercettazioni telefoniche ed ambientali, ed hanno permesso di cristallizzare un inquietante scenario all’interno dell’ospedale. Il primario sottoposto agli arresti domiciliari compiva – fa sapere la polizia in una nota ufficiale – sistematicamente atti sessuali ai danni di dottoresse ed infermiere in servizio nel reparto da lui diretto. Le vittime, in stato di soggezione ed intimorite da eventuali conseguenze pregiudizievoli, a livello lavorativo o familiare, se si fossero opposte, subivano quotidiani abusi sessuali. In almeno due casi, la condotta è arrivata anche a configurare il delitto di atti persecutori per la continuità con cui le vittime venivano costrette a subire gli atti sessuali, con il timore di ripercussioni nel caso avessero scelto di sottrarsi agli abusi».

«Di fatto, il medico primario e Direttore di Struttura Complessa agiva – prosegue la nota della questura – come se le dipendenti fossero a sua disposizione anche sessualmente, e per questo non si faceva scrupoli a compiere atti sessuali, anche durante le normali attività e conversazioni di lavoro. L’attività d’indagine è stata avviata grazie alla denuncia di una dottoressa in servizio in quel reparto, che aveva subìto per la prima volta un’aggressione sessuale all’interno dello studio del medico, segnalando il gravissimo fatto alla direzione sanitaria dell’Ausl e alla Questura di Piacenza. La vittima aveva subìto l’aggressione dopo essersi recata nell’ufficio del capo per discutere delle ferie, ed era stata chiusa a chiave nella stanza, sbattuta contro un mobile e costretta a subire atti sessuali, interrotti solo dal casuale arrivo di un collega che bussava alla porta».

«Le indagini della Squadra Mobile – spiegano da viale Malta – hanno permesso in un ristrettissimo arco temporale di raccogliere numerosissimi elementi a carico del primario per condotte ai danni di altre collaboratrici, dimostrando come l’aggressione alla querelante non fosse un caso isolato. Le immagini registrate (peraltro nel ristretto arco temporale di un mese e mezzo) nello studio all’interno dell’Ospedale permettevano di acclarare il compimento pressoché quotidiano di atti sessuali in orario di servizio. Durante i 45 giorni di monitoraggio attivo mediante l’utilizzo di ambientale audio/video sono stati rilevati 32 tra episodi di violenze sessuali, rapporti sessuali completi, rapporti orali».

«A rendere però complesse le indagini, – proseguono gli inquirenti – è stato il clima di forte omertà all’interno del Reparto, che ha portato diverse vittime a essere reticenti in prima battuta con gli investigatori circa quello che stavano patendo. Nel corso delle indagini, una seconda dottoressa, appositamente invitata in Questura, decideva di sporgere denuncia e raccontare degli abusi subiti, per poi ritirarla il giorno successivo per timore delle conseguenze lavorative e familiari. Sono al momento diverse le vittime individuate che hanno confermato gli abusi sessuali, ma, come i video e le immagini estrapolati dimostrano chiaramente, si tratta solo di parte delle donne costrette a subire atti di violenza. Di fatto, il primario compiva atti sessuali con quasi tutte le donne che varcavano da sole la porta del suo ufficio, all’occorrenza chiudendole nella stanza e bloccandole. Sebbene siano stati anche registrati all’interno dell’ufficio dei rapporti sessuali consenzienti con alcune operatrici, peraltro nell’orario di servizio, nella maggior parte dei casi le condotte erano espressione di atteggiamenti prevaricatori, evidenziati dalle riprese audio-video».

«È stato registrato come l’indagato – aggiunge la polizia – abbia appositamente convocato una collega consenziente per sfogare la sua libidine, insoddisfatta dai soli palpeggiamenti ai danni di una vittima avvenuti pochi minuti prima. Le flebili resistenze delle vittime, ormai in stato di prostrazione, erano vinte di volta in volta, ed ogni giorno ricominciavano nuovi abusi. Si è riscontrato, in sintesi, che per il personale sanitario di sesso femminile, entrare nell’ufficio del primario per questioni lavorative significava dover sottostare ad atti sessuali: circostanza, questa , che , se rapportata ad un ambito lavorativo formato da persone in astratto di alto livello culturale, non può che destare stupore e persino incredulità».

«Il primario – spiega la polizia – veniva definito come un uomo “potente” sia per il ruolo all’interno dell’Ausl  sia per le sue “conoscenze”, e tale posizione determinava nel personale sanitario una forte soggezione, derivante anche dal fatto che esporsi nei suoi confronti avrebbe comportato ripercussioni nella vita lavorativa e personale. L’ambiente ospedaliero si è dimostrato gravemente omertoso ed autoreferenziale, in quanto le condotte prevaricatrici del primario erano da tempo note a gran parte del personale, tanto che lo stesso si vantava nei discorsi con colleghi uomini di quanto compiva ai danni delle vittime, ricevendo in talune occasioni persino suggerimenti sugli atti sessuali da compiere in futuro».

«Le violenze all’interno del reparto poi non hanno certamente giovato agli utenti, in quanto le operatrici erano costantemente turbate dagli abusi che erano costrette a subire, ed il primario per contro distratto dal costante impulso sessuale dalle proprie attività lavorative, che avrebbe dovuto essere orientate esclusivamente al benessere dei pazienti a lui affidati», conclude la nota.