La maggioranza dei governi europei condanna l’Ungheria per il divieto di manifestare liberamente i diritti Lgbtiq+. Manca l’Italia, unico tra i grandi paesi, insieme alla Polonia (neutrale in quanto presidenza di turno Ue). Varsavia inoltre è alle prese con i tatticismi elettorali alla vigilia delle presidenziali di domenica. Quanto a Roma, invece, non è la prima volta che il governo Meloni si sfila sui diritti. E si conferma così il principale alleato del premier magiaro Viktor Orbán, sostenitore della democrazia illiberale, faro dell’estrema destra europea e spina nel fianco putiniana per Bruxelles.

L’ALLARME sul caso Ungheria è stato lanciato nel corso del Consiglio Affari generali, in occasione dell’audizione sullo Stato di Diritto dedicata a Budapest. Diciassette stati europei tra cui Germania, Francia, Spagna – e poi Portogallo, Austria, Belgio, Cechia, scandinavi e baltici, Lussemburgo, Irlanda e Slovenia – si sono detti «profondamente preoccupati» per le recenti modifiche legislative e costituzionali che ledono i diritti fondamentali delle persone Lgbtiq+. Modifiche che fanno seguito a una rotta già indicata da tempo e che ledono i valori fondamentali, come «dignità umana, libertà, uguaglianza e rispetto dei diritti umani».

I 17 FIRMATARI dell’iniziativa invitano la Commissione Ue a intervenire. Sempre che Budapest non torni sui suoi passi, ipotesi che appare tuttavia piuttosto improbabile. Da poco il parlamento ungherese ha emendato la Costituzione, mentre il governo Orbán ha presentato una legge per schedare ong e media non allineati che prende il nome di «legge sulla trasparenza». Quanto alla modifica costituzionale incriminata come ostacolo allo svolgimento del Pride, questa utilizza il pretesto della tutela dell’infanzia. I partecipanti a manifestazioni pubbliche, come il Pride in programma il prossimo 28 giugno, potranno ricevere una multa pesante, oltre a essere soggetti a pratiche repressive come il riconoscimento facciale.

«Non c’è alcun divieto contro il Pride, lo spiegherò ai colleghi», si giustifica alla riunione a Bruxelles il ministro ungherese per gli Affari Ue, Janos Boka. Solo una furbizia, la sua, dato che la nuova legge vieterebbe non i valori Lgbtiq+, ma di proclamarli liberamente. Proprio quella di non nascondersi e anzi scendere in strada è ciò a cui gli organizzatori del Pride di Budapest non vogliono rinunciare.

Nette a sostegno della società civile ungherese e contro il governo Orbán le dichiarazioni di diverse capitali, a partire da quelle con governi moderati o di destra, come Bruxelles e Stoccolma.

IN CONCRETO quale iniziativa potrebbe prendere Bruxelles per far cambiare idea a Orbán? Il fantasma che si aggira per l’Europa, ora più che mai, è quello dell’attivazione dell’articolo 7 dei Trattati. È l’«arma nucleare», con cui viene sospeso dal diritto di voto in Consiglio Ue il paese che viola i principi fondamentali dell’Unione. Ipotesi considerata anche dalla Germania, che con il ministro di Stato per l’Ue Kirchbaum, fa sapere di avere ormai «perso la pazienza». La decisione che porta alla sospensione del diritto di voto in Consiglio Ue deve essere presa all’unanimità dei 26 governi, cioè tutti escluso quello in questione. La difficoltà è che la Slovacchia del populista Robert Fico ha sempre dichiarato il proprio veto a ogni eventuale iniziativa contro l’amico Orbán. E chissà come si schiererebbe Roma a quel punto.

Un richiamo al rispetto dei diritti fondamentali, tra cui «quello di riunirsi pacificamente» arriva dal commissario alla Giustizia Michael McGrath, che esprime anche la preoccupazione per la tecnica del riconoscimento facciale tramite IA. La Commissione sta «esaminando attentamente» la legge costituzionale ungherese, già in procedura d’infrazione, ma anche la norma sulla trasparenza è sotto i riflettori. «Non escludiamo nessuna misura», dichiara McGrath alla fine del Consiglio Ue. E dire che alla vigilia dell’iniziativa dei 17 paesi, la presidente della Commissione von der Leyen aveva sconsigliato la partecipazione al Pride per i suoi stessi commissari, pur di non «provocare» reazioni del premier magiaro.

IERI LA LEADER tedesca ha smentito di aver mai suggerito nulla di simile. Per farle cambiare idea ci è voluta la presa di posizione dei governi, preceduta da una lettera con cui il gruppo politico liberale europeo Renew invocava «misure urgenti» per consentire lo svolgimento del Pride.