di
Carlo Baroni

Milano, è stato al vertice della squadra nerazzurra dal 1984 al 1995

Sapeva il valore della fatica. Del venir su con niente. Nella periferia di una Milano che ti insegnava la dignità e il lavoro ti faceva orgoglioso. Ernesto Pellegrini, scomparso oggi a 84 anni, è quello che gli anglosassoni chiamano un self made man. E se il Destino ha i suoi disegni indecifrabili per lui ha scelto un giorno particolare per finire la sua partita: la finale di Champions della «sua» Inter

«Sua» prima ancora di diventarne il presidente. I colori nerazzurri come una folgore per illuminare il futuro di quel ragazzo che non era nato nella borghesia ricca e colta della metropoli ambrosiana. Figlio di ortolani si era diplomato in ragioneria. Un ragiunatt come si dice in dialetto meneghino con una forma di rispetto misto ad ammirazione. Ai milanesi piace la gente che sa far di conto, che tratta i soldi come un bene da conservare e non per ostentare ricchezza. Ernesto Pellegrini l’ha ricordato quando è passato nella barricata dei benestanti. Si è impegnato nel sociale senza far sapere alla mano destra cosa faceva la sinistra. Con la discrezione e il rispetto di chi aiuta gli altri e non ha la voglia che il mondo sappia quanto sei buono. Aveva chiamato il suo ristorante «Ruben» come un ragazzo suo amico morto assiderato in una baracca. Un posto dove si mangia con niente.



















































Per tutti Ernesto Pellegrini è stato il presidente dell’Inter. Venuto dopo Ivanoe Fraizzoli e prima di Massimo Moratti. Dieci miliardi per prendersi il club che amava da ragazzo. «Il mio cuoco ha comprato l’Inter», commentò l’avvocato Agnelli ricordando che la ditta Pellegrini forniva le mense della Juventus. Se quella dell’Avvocato voleva essere una battuta gli riuscì male. Forse dietro c’era l’acredine e l’invidia di vedere che si possono fare i soldi anche senza una famiglia alle spalle. Pellegrini prendeva un club con tanto passato e un presente incerto. Gli anni della Grande Inter una cartolina dai colori sbiaditi. Ci mise l’entusiasmo di un tifoso quale era. Con il rispetto per chi l’aveva preceduto, quel signore assoluto di onestà e milanesità che era stato Ivanoe Fraizzoli. Ci voleva linfa nuova, idee brillanti. Concretezza. Qualità che in Europa abbondava a Nord di Milano. Trovò il suo campione a Monaco di Baviera. Si chiamava Karl-Heinz Rummenigge, Kalle per tutti. Non vinse lo scudetto ma conquistò i tifosi. Gli interisti sono diversi anche in questo. C’è una bacheca del cuore dove non si contano i trofei ma le emozioni. E Kalle fu generoso. Al punto che il più bel ricordo di lui è un gol in rovesciata contro i Rangers di Glasgow. Annullato appunto. Ma ai nerazzurri non importava. Aveva dato un battito al loro cuore. 

Dopo il necessario periodo di rodaggio Pellegrini trovò la quadra e la squadra. Un allenatore che parlava e pensava come lui, Giovanni Trapattoni e un tedesco di quelli capaci di trascinare uno stadio: Lothar Matthaus. I racconti dicono che convinsero la moglie del campione portandola nelle vie del Quadrilatero e riuscendo così a farla innamorare della città. Insieme a lui il Bayern aggiunse un terzino che sembrava poco o niente: Andreas Brehme. Un Pellegrini in campo. Anche lui venuto dal basso, guardato senza troppo interesse. Sottostimato. Si rivelò un fuoriclasse da album delle figurine eroiche. Lo scudetto 1988-89 non fu «normale». Uno scudetto da Inter. Primato di punti, gioco spumeggiante, San Siro in delirio sempre.

Ernesto Pellegrini sorrideva dalla tribuna con la sua sigaretta in mano e la erre moscia che lo facevano più signore di quelli che assemblavano macchine in Piemonte.
Oggi l’Inter nella finale di  Champions contro il Psg giocherà con il lutto al braccio e gli occhi lucidi. Pensando in ogni attimo della partita al suo presidente. Sul sito della società nerazzurra c’è scritto che nei suoi undici anni di presidenza dal 1984 al 1995 Ernesto Pellegrini ha guidato il club con «saggezza, onore e determinazione, lasciando una impronta indelebile». Parole che il presidente avrebbe «indossato» con orgoglio.
Ernesto Pellegrini un cuore grande e pieno come quando San Siro è gremito e colora solo di nerazzurro.

(I funerali di Ernesto Pellegrini si terranno mercoledì 4 giugno, nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, alle 11)

31 maggio 2025 ( modifica il 31 maggio 2025 | 15:56)