L’incertezza crescente che domina il quadro internazionale rilancia il ruolo dell’Europa e di conseguenza quello dell’Italia: può sembrare strano, ma è così. Il contesto è ricco di situazioni aperte in modo preoccupante e per le quali non si intravede una via d’uscita. La vicenda dell’Ucraina è emblematica
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Altrettanto lo è la questione palestinese, che ormai non riguarda più solamente il terrorismo di Hamas che ha preteso di rappresentarla.
Dovrebbe essere chiaro che in uno scenario di questo tipo (e naturalmente ci sono tanti altri punti di disequilibrio: ci siamo limitati ad elencare i due maggiori) diventa essenziale che possa affermarsi un attore in grado di esercitare il ruolo di chi impedisce la deflagrazione finale dei conflitti in corso e quantomeno avvia la costruzione di quel nuovo equilibrio multipolare, ma basato su un “concerto” fra le potenze, che è la premessa necessaria per il mantenere un contesto di pace.
Può sembrare un’utopia da sognatori pensare che questo possa essere il ruolo dell’Europa. Certamente questo “vecchio mondo” sta tornando sulla scena nei termini e ruoli se vogliamo ottocenteschi, come testimonia il ricongiungersi con esso della Gran Bretagna, e anche la ricerca di risvegliare connessioni con quella che una volta alcuni storici definivano l’Europa emigrata oltre oceano, senz’altro gli USA e il Canada, ma forse anche alcuni stati latino americani. Ovviamente il fatto che adesso ci sia un nucleo forte europeo costituita dalla UE è un dato centrale. Lo verificheremo nelle ormai prossime riunioni del G7 e della Nato.
Non ci si faccia distrarre dal fatto che per la UE si tratta di 27 paesi piuttosto diversi, niente affatto omogenei nelle loro visioni: ciò che conta è che esiste un nucleo forte dell’Unione che è costituito principalmente da Francia, Germania e Italia, nucleo attorno sul quale si possono innestare protagonisti relativamente nuovi rispetto alla storia ottocentesca che abbiamo richiamato sopra, si chiamino Spagna o Polonia, ma anche altri.
Nessuno vuol negare che siamo in presenza di una dinamica ancora da perfezionare, vuoi per diversità di tradizioni e di vicende storiche, il che significa anche di pregiudizi fatti passare per “interessi nazionali” (sono cose che contano più di quanto pensano coloro che non conoscono la storia), vuoi per le fibrillazioni delle varie opinioni pubbliche nazionali dove sono presenti sentimenti che vorrebbero non accettare il peso delle responsabilità connesse al nuovo ruolo di questo attore che può fungere, ma non a costo zero, da riequilibratore del contesto internazionale.
L’Europa può costringere Putin a capire che non c’è spazio per il suo fantasioso disegno neo imperiale, perché non può consentirlo, anche se questo non significa affatto “umiliare” la Russia che ha tutte le carte per essere un paese importante e prospero senza bisogno di ricostruire né l’impero zarista, né l’URSS. Può favorire il ritorno di Israele ad una politica di convivenza, il che non significa impedirle di difendersi da chi vorrebbe cancellarla, ma incentivare una soluzione della questione palestinese consentendo la creazione di una sua soggettività politico-istituzionale senza la quale il medioriente rimarrà una polveriera.
Sempre l’Europa ha un ruolo da giocare nella stabilizzazione dell’Africa, che è un continente che non può essere lasciato come terreno per le incursioni di nuovi colonialismi, non meno distruttivi di quelli nostri storici: ci sono la Turchia, la Russia, la Cina, ben presenti nelle faglie aperte in quei territori, per tacere di non pochi interessi di grandi conglomerati economici che hanno loro “politiche estere” le quali non di rado sono ostacoli alle intese fra gli stati europei.
In tutto questo l’Italia ha un ruolo per storia, anche repubblicana del secolo passato, e per posizione geografica: senza farsi prendere da esaltazioni fuori luogo e rimanendo consapevoli dei non pochi problemi che abbiamo su tanti versanti, si può dire che dei riconoscimenti (nonché dei ripensamenti di vecchie pregiudiziali anti italiane) ne abbiamo visti. La frase del presidente Macron che ammette l’importanza del nostro Paese nel quadro della situazione internazionale attuale, è certo un atto di cortesia diplomatica durante un bilaterale, ma non è solo questo: sia pure con qualche fatica i leader nazionali stanno maturando il convincimento che il cambiamento in corso non si affronta se non legando il patrimonio storico dell’esperienza europea di presenza internazionale con la nuova consapevolezza che tutto va ripensato a fronte del ridisegno in corso degli equilibri internazionali.
Per quanto riguarda i due fronti più caldi sul primo è evidentissimo che Putin non ha alcuna intenzione di mettere fine alla sua guerra d’espansione se non può ottenere una vittoria. Può anche darsi che più il tempo passa, più per lui sia questione di sopravvivenza (certo politica, forse anche fisica) ottenere il risultato che ha sbandierato senza ritegno. Ciò è molto preoccupante, perché si deve chiedersi quale sarà l’arma finale per cercare di ottenere lo scopo e, ovviamente, come gli altri grandi attori internazionali reagiranno a questa deriva. Ci sembra improbabile che sia possibile venga dato allo zar di Mosca il via libera per una guerra di distruzione totale dell’Ucraina: sarebbe consentire un passo verso l’abisso.
Del resto sembra proprio quel che sta avvenendo quasi in parallelo con la politica di Netanyahu, che è anch’essa ispirata all’idea di raggiungere una sorta di “soluzione finale” con la questione palestinese, perché la fase attuale della guerra senza freni non ha come obiettivo la marginalizzazione definitiva del fondamentalismo terrorista di Hamas, ma più radicalmente la fine della possibilità che si abbia un “focolare” palestinese, per usare l’espressione scelta non a caso da Mattarella (per evitare la questione di un nuovo “stato” nel senso corrente e tradizionale del termine).
Anche in questo caso sembra improbabile che si consenta alla dirigenza israeliana in mano al fanatismo estremista del nuovo sionismo (abbastanza diverso da quello storico) di raggiungere il suo obiettivo: significherebbe, al di là degli orribili e inammissibili costi umani che ciò comporta, accettare una totale revisione degli equilibri nell’area mediorientale, con tutte le conseguenze (esplosive) del caso. Anche per questo tipo di complicazioni con cui il mondo fa i conti, continuiamo a sognare che l’Europa possa battere un colpo.