di
Federico Rota e Giuliana Ubbiali
Il carpentiere di Mapello, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne di Brembate Sopra, intervistato da Francesca Fagnani. Un’anticipazione della messa in onda, martedì sera su Rai2
La domanda di Francesca Fagnani è diretta, a un certo punto: «Ma il suo Dna come c’è finito sugli slip di Yara?». Massimo Bossetti risponde con il mantra del processo, noto a chi l’ha seguito e alle cronache di ormai parecchi anni fa: «È quello che vorrei capire anche io». Con i jeans e la camicia a righe, i capelli a spazzola e il pizzetto come nelle aule di tribunale, solo più ingrigiti dal tempo, Bossetti ha risposto alle domande, nell’intervista andata in onda a Belve Crime, stasera (martedì 10 giugno), alle 21.25 su Rai2. E ha ribadito ciò che ha sempre sostenuto, la sua innocenza: «Sopravvivo all’ingiustizia che sono costretto a vivere», dice alla conduttrice, che poi gli chiede se i genitori di Yara Gambirasio abbiano ottenuto giustizia: «Non è fatta la giustizia che si dovrebbero meritare». Bossetti nega di avere un inferno dentro di sé: «Sono tranquillo». Ma ammette di sentirsi addosso l’etichetta del mostro, dovuto a un’accusa che definisce «infamante. È come un tatuaggio che ti trascini». Come resiste in carcere, gli chiede Fagnani: «La rabbia si è tramutata in forza. E la forza è alimentata dall’amore dei miei familiari, dei figli, così riesco a resistere a un’ingiustizia quotidiana». Quanto a una possibile rimozione del delitto dalla sua psiche, Bossetti è netto: «No, nel mio caso no. Non esiste proprio. Perché andare contro una povera bambina?». In carcere ha ricevuto tante lettere o mail, ma trovato amici no, bensì «compagni». Anche se «ho trovato più rispetto, più umanità», dice. Bossetti respinge la sollecitazione di non citare più il nome di Yara: «Né io né Yara abbiamo avuto la meritata giustizia».
Bossetti, che compirà 55 anni il 28 ottobre nel carcere milanese di Bollate, è stato condannato all’ergastolo in via definitiva il 12 ottobre 2018. Venne arrestato il 16 giugno del 2014, quattro anni dopo l’omicidio di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate Sopra sparita nei 600 metri tra il centro sportivo del paese e casa, il 26 novembre 2010, e ritrovata senza vita in un campo a Chignolo d’Isola, il 26 febbraio 2011.
Il Dna è centrale in questa indagine, ma nelle sentenze hanno avuto un peso anche le intercettazioni in carcere con la moglie Marita Comi che ricordava a Bossetti di avergli chiesto già allora dove fosse stato quando sparì Yara (era l’angoscia collettiva, in Bergamasca) e lui non l’aveva detto. Bossetti, per sua stessa ammissione, passava da Brembate Sopra con il furgone da muratore per tornare a casa, nel vicino comune di Mapello.
Il Dna, dunque. Nell’intervista a Belve Crime, è l’argomento principale delle domande di Francesca Fagnani. Che gli fa presente come dalle analisi «più volte è sempre emerso il suo Dna sugli slip e sui leggings di Yara». Il carpentiere, con un figlio e due figlie, risponde che «è tutto assurdo». Fagnani: «Non per la scienza né per la legge». A questo punto Bossetti si addentra in uno degli argomenti cardini della sua difesa, durante i processi: «Il Dna nucleare, che si dovrebbe disperdere a poche settimane, era presente», invece «il mitocondriale, che è risaputo da tutti che non si può disperdere, non c’è».
È vero. Ma nelle tecnicissime udienze con i genetisti e nelle sentenze questa che per la difesa è una «anomalia» è stata spiegata con diverse ipotesi. Soprattutto, hanno riconosciuto i giudici, è solo il nucleare a identificare una persona, come se fosse un’impronta digitale. Il mitocondriale, invece, indica solo l’appartenenza a una linea materna. Di solito, venne spiegato a processo, non viene utilizzato nelle indagini. Ma l’inchiesta sull’omicidio di Yara per quasi quattro anni non portò a nulla e, per tentare il tutto per tutto, si passò anche per il Dna mitocondriale, alla ricerca della mamma dell’assassino rimasto per anni Ignoto 1.
Quanto al nucleare, dicono le carte processuali, «stimata in sette miliardi la popolazione mondiale, per trovare un altro individuo, oltre a Bossetti, con le stesse caratteristiche genetiche sarebbero necessari centotrenta miliardi di altri mondi uguali al nostro, ossia un numero di persone nettamente superiore non solo alla popolazione mondiale attuale ma anche a quella mai vissuta dagli albori dell’umanità», dicono gli atti.
«Infanzia felice? No, un po’ tormentata»
L’intervista tocca anche aspetti dell’infanzia di Bossetti, che lui stesso definisce «un po’ tormentata». Per i litigi dei genitori, specialmente per il carattere del padre: «Era piuttosto severo». E cita un esempio, chiamando in causa sua sorella gemella: se succedeva che tornassero a casa più tardi del solito «capitava che restassi chiuso in camera senza mangiare per due giorni», racconta Bossetti. Con la madre, invece, tutt0’altro tipo di rapporto, che Bossetti ammette essere stato «morboso». Per quanto abbia sofferto la scoperta di avere un padre biologico diverso dall’uomo che conosceva.
Le domande senza risposta sul giorno del delitto
Fra i momenti più serrati dell’intervista quelli in cui si ripercorrono i momenti in cui Yara sparisce e quelli immediatamente successivi. «Per me era stata una giornata normalissima», dice Bossetti, senza entrare nel merito di ciò che fece. Attività di tutti i giorni, dice, citando di essere stato dal commercialista (lo dimostrerebbe, secondo Bossetti, un modello F24 agli atti), dal fratello e dal parrucchiere. Per il resto nessun ricordo specifico o spiegazione, ad esempio sul perché il suo cellulare risulti spento fino alla mattina successiva alla sparizione di Yara.
La verità e le bugie: «Chi non le racconta?»
Di fronte a una verità giudiziaria, Fagnani chiede a Bossetti quale sia il suo rapporto con la verità: «Normale, mi sono sempre difeso energicamente. Ma non c’è verità per chi non vuole ascoltare». La giornalista gli ricorda il soprannome datogli dai colleghi, in cantiere: il «favola». Per le bugie che raccontava: «Chi non le racconta?». Non lo pagavano da 4 mesi, spiega, e così si inventò di avere un tumore al cervello per assentarsi: «Mi pareva l’unica scusa plausibile». Non sono strettamente bugie, ma Fagnani cita le infedeltà della moglie Marita, riferitegli quando era in carcere. «Mi sono congelato. Non potevo credere a una storia simile». Quell’infedeltà, ammette Bossetti, è «la cicatrice più grande».