Rischia di diventare un caso di non facile soluzione quello della direttiva anti-greenwashing, o più precisamente dei Green Claims (che impone alle aziende di supportare con prove le proprie dichiarazioni ambientali). Venerdì scorso la Commissione Ue ne aveva annunciato il ritiro con una mossa a sorpresa, proprio quando la normativa era in dirittura d’arrivo. Ieri, poco prima dell’avvio della negoziazione finale del Trilogo, la presidenza di turno polacca ha annunciato che era meglio prendersi una «pausa di riflessione», a causa dei troppi «dubbi e confusione sul dossier». La responsabilità del caos si può attribuire all’esecutivo europeo: prima ha annunciato il ritiro senza motivarlo, poi ha indicato il problema in una modifica della direttiva da parte dei co-legislatori (Parlamento e Consiglio Ue), perché penalizzerebbe le piccole imprese. Dulcis in fundo è arrivato anche l’annuncio del clamoroso voltafaccia italiano, che è passato dall’appoggio alla contrarietà, facendo mancare la maggioranza necessaria all’accordo. Così, per l’ennesima volta si arena un provvedimento del Green deal, e di nuovo in seguito all’intesa della cosiddetta «maggioranza Venezuela», composta da Ppe e destre e alternativa a quella che sostiene la Commissione von der Leyen II (Ppe, S&D, Renew, Verdi, con appoggio Ecr).
La scorsa settimana sia il gruppo Ppe che le destre dei conservatori (Ecr) e sovranisti (PfE) avevano invitato la Commissione a fermare la direttiva. Non è un caso, secondo l’eurodeputato socialista Tiemo Woelker, co-relatore per l’Eurocamera, che punta il dito contro il Ppe: «Il compromesso finale era vicino. Ma i popolari hanno scelto l’alleanza con le destre», condizionando così l’esecutivo.
Secondo quanto spiegato nel corso di una conferenza stampa convocata d’urgenza all’Europarlamento, i relatori non erano contrari a esentare le micro-imprese, così come richiesto dalla Commissione. Questo smonterebbe dunque, l’argomentazione principale della Commissione in favore del ritiro. Inoltre, «la Commissione non ha potere di veto durante la procedura legislativa», rimarca l’altro co-relatore, l’eurodeputato Renew Sandro Gozi, ricordando come secondo i Trattati l’esecutivo avrebbe il dovere d’imparzialità «e non può ricevere istruzioni da nessuno, che sia un governo, un’impresa o un gruppo politico».
Ma oltre al pasticcio istituzionale, il nodo è strettamente politico. Dopo le ultime mosse, il Ppe dovrebbe chiarire «se intende continuare a legiferare nell’ambito della maggioranza centrista», accusa ancora Woelker. Non si tratta solo di un altro pezzo del Green deal che se ne va. I popolari sanno di non poter contare sulle destre, nazionaliste ed euroscettiche, per la maggior parte delle leggi vitali per l’Ue. Sanno anche che su temi come l’ambiente o i valori le destre sono disponibili a entrare in gioco, e il Ppe è felice di usare il «doppio forno». Finora tutto è stato un vantaggio per von der Leyen. Ma ora S&D, Verdi e perfino i liberali di Renew potrebbero essere vicini al punto di rottura.