Giorgetti (foto) promette niente manovra bis e un 2026 “libero”: ma la clausola difesa rischia di pesare. In corso il negoziato con Bruxelles per uscire dai radar.
Fine dei rilievi, almeno sulla carta

L’Italia si prepara a chiudere uno dei capitoli più pesanti nella relazione con l’Unione europea: l’uscita dalla procedura per deficit eccessivo, quella che Bruxelles attiva contro i Paesi i cui conti pubblici sforano sistematicamente i parametri di stabilità.

“Per la prima volta non si parla di manovra correttiva con la legge di Bilancio: miracolosamente abbiamo fatto le previsioni giuste”, ha affermato Giorgetti con un sorriso che nasconde tuttavia una posta in gioco enorme.

L’Italia punta a rientrare sotto la soglia simbolica del 3% di deficit/Pil entro il 2026, scendendo così dal 3,3% stimato per il 2025. È un traguardo ambizioso, che apre a una nuova agibilità politica e fiscale, ma che nasconde nodi irrisolti.

Il vero ostacolo si chiama difesa

Il contesto in cui si inserisce il negoziato con Bruxelles è tutt’altro che neutro. Al centro dello scontro c’è una “asimmetria normativa” denunciata apertamente dal governo italiano.

“Se un Paese sotto il 3% aumenta il deficit per finanziare la difesa, non entra nella procedura. Ma chi, come noi, è appena sopra la soglia per lo stesso motivo rischia di non uscirne”, ha spiegato Giorgetti.

La clausola difesa introdotta nel nuovo Patto di stabilità rischia di diventare un grimaldello per alcuni e una trappola per altri. L’Italia, che ha aumentato il budget per rispettare gli impegni Nato, si ritrova a dover giustificare un leggero sforamento del tetto per un tema che l’Europa dichiara di voler incentivare.

“Stiamo discutendo un’uscita ordinata dalla procedura di deficit eccessivo e un’applicazione flessibile della clausola difesa per l’Italia. Il confronto è costruttivo”, ha confermato Dombrovskis.

Giorgetti gioca d’anticipo: “Abbiamo fatto i compiti”

Il ministro insiste: “Sulla base dei dati Istat pubblicati il 30 giugno 2025, non ci sono motivi per manovre correttive”. Il riferimento è al deficit 2024 (3,4%) e a una crescita del Pil migliore delle attese nel primo semestre 2025.

L’avanzo primario è tornato positivo nel 2025, con un saldo stimato all’1% del Pil, sostenuto dal rallentamento del Superbonus e dalla razionalizzazione delle spese fiscali. È da qui che arriva il respiro per confermare la promessa: “Niente manovra bis”.

Agibilità ritrovata o illusione contabile?

Eppure, non mancano gli scettici. Secondo alcuni economisti, il vero test sarà il 2026, quando finiranno gli effetti del Pnrr e torneranno i vincoli pieni.

“Il deficit sotto il 3% non è sostenibile senza tagli o aumenti di entrate. Parlare già oggi di uscita dalla sorveglianza Ue è prematuro”, avverte Carlo Cottarelli.

Anche l’Ufficio parlamentare di bilancio ha segnalato che le previsioni del governo sono ottimistiche, considerando i rischi geopolitici, la politica restrittiva della BCE e l’incertezza sulla crescita.

Difesa, famiglie e crescita: il triplo binario della prudenza

Non è un caso che Giorgetti abbia cercato di riequilibrare il discorso puntando su altri due pilastri: famiglie e welfare.

“L’obiettivo di portare la spesa militare al 5% del bilancio dello Stato sarà raggiunto salvaguardando le voci orientate alla crescita e al benessere sociale”, ha dichiarato.

Già oggi, il 56% della spesa primaria è destinato a pensioni, sanità e istruzione. Il governo punta a dimostrare che è possibile conciliare rigore e investimento. L’uscita dalla procedura Ue non è solo un fatto tecnico, ma un atto politico.

Bruxelles osserva, ma lascia uno spiraglio

La Commissione europea mantiene una linea prudente. Il 1° luglio ha avviato la procedura per deficit eccessivo contro sette Paesi, compresa l’Italia, ma ha anche lasciato intendere che la valutazione potrà essere aggiornata in autunno.

La prossima tappa sarà il Documento programmatico di bilancio di ottobre. Solo allora si capirà se i numeri promessi dal governo reggeranno. Non si gioca solo il ritorno sotto il 3%, ma la credibilità dell’Italia nel nuovo quadro di regole fiscali europee.

Un’uscita simbolica, ma serve continuità

Il rischio è che l’Italia celebri una vittoria di facciata, senza consolidare i conti pubblici. L’uscita dalla procedura è un segnale positivo, ma non equivale a una promozione definitiva.

“Il test sarà la sostenibilità di medio periodo, non il dato secco di un trimestre”, ha scritto l’economista Guntram Wolff.

In definitiva, la partita resta aperta. L’Italia ha fatto un passo avanti, ma deve dimostrare continuità. Uscire dai radar europei è difficile. Rientrarci lo è ancora di più. E questa volta, la clausola difesa non potrà essere usata come scudo per sempre.