Nelle strade di Roma - © Shutterstock

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La cittadinanza italiana, basata sullo ius sanguinis, esclude milioni di persone nate o cresciute in Italia, negando diritti e partecipazione. Serve una riforma radicale per trasformarla in uno strumento di inclusione, garantendo permessi di soggiorno semplificati e riconoscendo dignità a tutti

La questione della cittadinanza in Italia non è solo un problema tecnico o burocratico da relegare ai tavoli delle commissioni parlamentari. È una questione politica e sociale che incide profondamente sul destino democratico del paese.

Per troppo tempo, il dibattito si è concentrato su etichette riduttive come “seconde generazioni” o “stranieri regolari”, creando una narrazione frammentata e divisiva, che serve solo a mantenere uno status quo di esclusione sistemica tra non cittadini di serie A e non cittadini di serie B.

Il modello di cittadinanza italiano, ancorato allo ius sanguinis, è una costruzione etno-nazionalista che funziona come una barriera strutturale contro milioni di persone nate, cresciute e radicate in Italia, ma formalmente escluse dalla piena partecipazione politica e sociale.

Questa esclusione non è una svista, è una scelta politica deliberata: la cittadinanza diventa uno strumento selettivo che decide chi può godere di diritti, libertà e dignità, e chi invece resta confinato in una condizione di marginalità permanente, di respiro sospeso.

La libertà di movimento è oggi un privilegio. Nel contesto europeo, le politiche di esternalizzazione delle frontiere, la militarizzazione dei confini e i centri di detenzione amministrativa impongono una vera e propria segregazione dei corpi e delle vite, trasformando chi non possiede un “passaporto giusto” in un nemico da controllare, isolare o espellere.

La cosiddetta “Fortezza Europa” è una macchina di esclusione che produce violenza istituzionale e sofferenza umana. Chi fugge da guerre, povertà o disastri climatici non deve essere considerato un problema da risolvere con muri e respingimenti, ma una componente fondamentale della nostra società, che va tutelata, per solidarietà, ma soprattutto per giustizia.

Questa realtà impone un ripensamento radicale della cittadinanza stessa, che deve diventare uno strumento di partecipazione e giustizia sociale, non un filtro selettivo. La cittadinanza deve fondarsi sulla partecipazione, la convivenza e co-creazione della società dove si vive, non su criteri esclusivi e discriminatori.

Negli ultimi anni, la mobilitazione dal basso e l’azione delle comunità territoriali hanno portato alla ribalta un’urgenza chiara: la necessità di una riforma strutturale della legge sulla cittadinanza. A questo proposito, la recente stagione referendaria ha rappresentato un momento fondamentale di aggregazione e pressione politica.

In molte città italiane, le raccolte firme per il referendum e i voti seppur sembrano pochi, ovvero 9 milioni, ci danno la prova che un sesto della popolazione italiana è convinta della via da intraprendere.

Questa spinta dal basso ha mostrato la forza delle comunità migranti, delle associazioni, dei giovani e di una parte crescente della società civile, che rifiuta l’idea di una cittadinanza come privilegio e chiede di trasformarla in diritto per tutte e tutti.

I referendum sono stati un segnale chiaro: non si tratta solo di un cambiamento normativo, ma di un cambio di paradigma culturale e politico che è necessario.

Un paradigma che riconosca l’Italia non come un luogo di passaggio o di esclusione, ma come una comunità politica in cui chi vive stabilmente ha diritto a essere riconosciuto, rispettato e rappresentato.

La cittadinanza deve smettere di essere un ostacolo e diventare una leva per la coesione sociale e la democrazia reale. Un tassello fondamentale in questa battaglia è anche la semplificazione e la facilitazione dei permessi di soggiorno.

La complessità burocratica, i tempi lunghissimi e le incertezze giuridiche rendono l’accesso ai permessi in Italia un percorso ad ostacoli, che produce esclusione e precarietà. Il diritto alla permanenza legale non può essere un miraggio da rincorrere, ma deve diventare un diritto garantito e protetto, un passaggio essenziale prima della possibilità di essere riconosciuti italiani.

Facilitare i permessi di soggiorno significa garantire stabilità alle persone, dare loro la possibilità di lavorare senza paura, di studiare, di costruire legami sociali duraturi e di partecipare attivamente alla vita collettiva. Significa spezzare il ricatto della paura e dell’irregolarità che alimenta lo sfruttamento lavorativo, la marginalità sociale e la discriminazione.

Questa è una battaglia che si intreccia con quella per una cittadinanza piena e per la libertà di movimento: solo chi ha sicurezza giuridica può sentirsi davvero parte della comunità politica. Può respirare a pieni polmoni.

La semplificazione dei percorsi burocratici, l’abolizione delle procedure inutilmente punitive e la tutela giuridica dei migranti devono essere al centro di una nuova politica migratoria e di cittadinanza. Le battaglie future devono partire da qui, unendo la spinta dal basso con un’azione politica consapevole e strategica.

Serve connettere l’analisi rigorosa delle disuguaglianze, del razzismo sistemico con la mobilitazione sociale e le istanze di giustizia. Questa lotta è parte di una più ampia sfida democratica: un paese non può definirsi democratico se continua a escludere intere comunità dal diritto di cittadinanza, dalla libertà di movimento e dalla sicurezza legale

L’Italia ha davanti a sé una scelta cruciale: continuare a legittimare un sistema di esclusione e discriminazione, di razzismo sistemico o farsi protagonista di una nuova stagione di diritti e partecipazione.

Le esperienze locali di solidarietà, le mobilitazioni giovanili, la pressione referendaria e la battaglia per semplificare l’accesso ai permessi mostrano che la strada per il cambiamento è già tracciata, ma serve una volontà politica forte e coraggiosa. Non si tratta solo di cambiare una legge, ma di trasformare la struttura stessa della nostra società e delle sue istituzioni.

La cittadinanza deve diventare un atto di riconoscimento politico e sociale, un patto che ci unisce nel rispetto della diversità e della dignità di tutte e tutti. Questa è la sfida che ci attende. La lotta per una cittadinanza piena, plurale e larga, per la libertà di movimento, per il diritto alla stabilità legale e per la giustizia sociale, è una lotta che riguarda tutti.

 

Questo articolo è stato prodotto nell’ambito di “MigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell’Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell’Unione europea.

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