di
Rosella Redaelli

L’ex presidente della Camera, condannata in primo grado a 4 anni di carcere per evasione fiscale e autoriciclaggio, è a processo anche per la compravendita di mascherine dalla Cina durante il Covid: «La mia colpa è aver fatto l’imprenditrice»

Nel 2024 è stata condannata in primo grado a quattro anni di carcere per evasione fiscale e autoriciclaggio e dovrà rispondere in un nuovo processo anche sulla compravendita di mascherine dalla Cina in epoca Covid.

Irene Pivetti, la più giovane presidente della Camera tra il 1994 e il 1996, deputata della Lega per tre legislature, conduttrice televisiva e imprenditrice, risponde al telefono al termine di una riunione di lavoro.



















































Pensa mai alla possibilità di finire in carcere?
«A domanda precisa rispondo di sì, scusi, ma mi accendo una sigaretta. Ci penso, mi preparo anche a questa eventualità. Ho le mie tristezze di mamma e ora anche nonna, ma non lascio che questo pensiero prenda il sopravento sulla mia vita. Cerco di vivere anche questo con equilibrio. Non voglio che la condanna pesi come una spada di Damocle sulla mia vita. Grazie a Dio, e non è una frase fatta, sono riuscita a riprendere la mia vita».

La fede la aiuta?
«Il Signore sa quello che fa e mi affido a lui».

Il momento più difficile?
«Il periodo dell’inchiesta, il processo. Quando la guardia di Finanza si è presentata con un avviso di garanzia ho pensato subito ad un errore, proprio perché sono un personaggio pubblico sono sempre stata attenta e scrupolosa. Invece sono finita in un tritacarne».

Il fatto di chiamarsi Irene Pivetti può aver giocato a suo svantaggio?
«Qualcuno lo pensa, ma io non credo al complotto. È un sistema che colpisce tanti imprenditori come me. In un momento perdi tutto, già solo per il fatto di essere un imprenditore sei dalla parte del torto. In un attimo ti ritrovi sbattuta in prima pagina, anche se non condanno i giornalisti che fanno il loro lavoro. Anche questo è parte del sistema che ti toglie dignità, rovina la tua immagine, ti annienta anche economicamente. Non mi hanno tolto la casa perché non l’avevo, ma ad altri è successo anche quello, poi conti correnti bloccati. Io non mi vergogno di dire che ho preso i pacchi viveri dalla San Vincenzo. Lo dico non per destare pietà, non mi sono mai lamentata, ma perché ho la possibilità di dare voce a tanti he sono nella mia situazione e non possono raccontarlo. Quante storie conosciamo di imprenditori che perdono tutto e poi risultano innocenti?».

Auspica un cambiamento nel sistema giudiziario italiano?
«C’è il tema della separazione delle carriere, ma su quello non mi esprimo. Metterei un altro tema al centro: il rispetto dell’individuo. Se c’è davvero la presunzione di innocenza bisogna avere rispetto. Invece è un sistema perverso. Altro che “avviso di garanzia”, non c’è nessuna garanzia per chi lo riceve, sai che la macchina ti farà a pezzi e tu non puoi difenderti. Quello che accade nei processi è il contrario dello Stato di diritto. Non c’è diritto se puoi essere malmenata verbalmente. L’obiettivo dovrebbe essere la ricerca della verità, non creare un clima di terrore».

Nel novembre 2022 ha raccontato al Corriere la sua nuova vita a Monza, nel ristorante sociale “Smack” che dà lavoro ad ex detenuti e soggetti fragili. Continua a servire 100 pasti al giorno?
«Per l’avvio del ristorante ho fatto di tutto. Avevo una camera in affitto proprio sopra il ristorante, ero la prima ad arrivare alle 6,30 e l’ultima ad andarmene. Devo dire grazie alla Cooperativa sociale Mac di Milano, l’unica che mi ha teso la mano quando tutti mi hanno lasciata sola. Quando ho avuto il primo stipendio da mille euro ho capito che potevo farcela».

Prosegue il suo impegno nel sociale?
«Continuo a dare una mano perché negli anni ho conosciuto tante persone con cui ho instaurato un bellissimo rapporto. Torno a trovarli, mangiamo insieme. Abbiamo fatto un bel lavoro di squadra, creato un luogo di aggregazione anche per il quartiere».

Cosa ricorda con più piacere?
«L’avvio del ristorante, il palco che avevo voluto per organizzare anche serate musicali, le feste di compleanno, le famiglie, i clienti che magari arrivavano per curiosità e poi tornavano».

La politica l’ha lasciata sola?
«Sì, ma non mi aspettavo nulla e non posso rimproverare nessuno».

C’è qualcosa che rimprovera a sé stessa?
«Non aver minimamente immaginato i risvolti del fare impresa in Italia, la possibilità di finire nel tritacarne. Non rifarei più l’imprenditrice».

Ora di che cosa si occupa?
«Di progetti culturali con l’associazione Amicizia Italia Cina. Promuovo eventi culturali, organizzo missioni per imprenditori italiani, faccio da ponte. La Cina è una parte importante e bellissima della mia vita dal 2011, un Paese che cresce e accoglie in modo straordinario».

28 agosto 2025 ( modifica il 28 agosto 2025 | 14:48)