Dalle regioni artiche della Groenlandia a quelle equatoriali del Congo, dai Paesi più grandi come Cina, Canada, Usa e Russia ai piccoli arcipelaghi del Pacifico o alle regioni aride come la Mongolia o la Tunisia: sono più di 160 i Paesi al mondo che producono energia elettrica dall’acqua tramite centrali idroelettriche.
L’idroelettrico è la fonte di energia pulita che genera la maggior parte dell’elettricità a livello globale. Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), la produzione totale nel 2022 ha raggiunto i 4.354,1 TWh, una cifra superiore alla somma di tutte le altre fonti rinnovabili.
In questo scenario mondiale c’è anche l’Italia che è al terzo posto in Europa nel settore dell’idroelettrico per potenza installata, con una copertura del 15% dei consumi totali nel 2024. Una filiera industriale che vale oltre 37 miliardi di euro e 19 miliardi di export. È quanto sostiene una ricerca di Teha ed Enel dal titolo Energia dall’acqua, forza e sicurezza del paese: il ruolo strategico per l’idroelettrico in Italia realizzata.
L’idroelettrico è ormai diventata una fonte di energia rinnovabile indispensabile per il nostro Paese. Lo scorso anno è stata la prima fonte di energia rinnovabile con una quota pari al 46% della produzione e ha un potenziale di crescita del 10%.
C’è però un problema da risolvere. Il nodo da sciogliere riguarda le concessioni dei grandi impianti idroelettrici. L’86% di esse è già scaduto o scadrà entro il 2029 e occorre trovare un modo efficace di riassegnazione delle concessioni per non compromettere la realizzazione degli investimenti – pubblici e privati – nel settore.
La settimana scorsa al Forum Ambrosetti – incontro internazionale sui temi economici che si tiene ogni anno a Cernobbio, sul lago di Como dal 1975 – è stata presentata la suddetta ricerca di Teha ed Enel. Ed è emersa la soluzione della riassegnazione delle concessioni agli operatori a fronte di investimenti concreti.
«Crediamo che il modello del partenariato pubblico-privato, ossia il project financing, rappresenti la soluzione più efficace per rilanciare gli investimenti sull’idroelettrico – ha affermato Salvatore Bernabei, direttore di Green Power e Thermal Generation di Enel –. In alternativa si potrebbe valutare una “quarta via”, ossia la riassegnazione delle concessioni agli attuali concessionari a fronte di un piano industriale e una complessiva armonizzazione ed equilibrio dell’attuale assetto dei canoni». E continua: «Queste soluzioni consentirebbero di incrementare gli attuali investimenti fino a 16 miliardi aggiuntivi, creando nuovi posti di lavoro e aumentando la produzione idroelettrica fino al 10%. Al contrario, il rischio, in assenza di una decisione, è quello di ritardare il piano di investimenti fino a 6 anni, con conseguenti impatti negativi per tutto il sistema».
L’idroelettrico è una tecnologia che ha una prevalenza di costi fissi, richiede elevate competenze tecniche e ingenti capitali sia in fase di investimento iniziale che di mantenimento. Tutto questo comporta quindi lunghi tempi di ritorno dell’investimento. C’è poi da considerare i costi legati ai canoni che negli ultimi anni sono aumentati fino a 6 volte. La produzione idroelettrica è inoltre caratterizzata da una importante variabilità, con periodi di siccità sempre più frequenti che impattano fortemente sulla produzione.
Molto spesso si descrive l’Italia come un Paese chiuso alla concorrenza. «Vorrei ricordare che il settore dell’energia è tutt’altro che chiuso e che vede la presenza di oltre 700 operatori sul mercato», sostiene Bernabei che ha poi aggiunto che «l’Italia è l’unico Paese ad aver introdotto a livello europeo un’apertura così ampia del mercato idroelettrico in chiave concorrenziale, in assenza di un framework normativo armonizzato e di una reale reciprocità tra gli Stati membri. Una scelta che rischia di far rimanere l’Italia preda di speculazione e mettere in discussione la sicurezza energetica nazionale».