Tra proteste, numeri e critiche, Roma guida il fronte che teme il declino della politica agricola comunitaria con il pacchetto 2028-34.
La proposta della Commissione europea per il bilancio pluriennale 2028-2034 ha acceso un fuoco politico che non accenna a spegnersi. In Italia, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida (foto) ha attaccato duramente Bruxelles, parlando di un possibile smantellamento della Politica agricola comune (Pac), con il timore che decenni di politiche vengano “buttati al mare” e che la futura sovranità alimentare dell’Unione diventi un’illusione. Ma cosa c’è davvero dietro queste accuse? Quali sono le cifre, le reazioni, le contromosse? E quali implicazioni per il settore agro-alimentare, in Italia e in Europa?
Pac 2028-2034: cosa cambia davvero
Riduzione del bilancio agricolo. Nel prossimo settennato le risorse destinate alla Pac subirebbero un taglio, con un passaggio da circa 386 miliardi di euro a circa 302 miliardi. La cornice comprende sostegni al reddito e strumenti di gestione delle crisi.
Accorpamento e piani nazionali. La Pac verrebbe integrata in un contenitore più ampio insieme ad altri programmi, con una gestione tramite piani nazionali e regionali che aumentano la flessibilità ma pongono interrogativi sulla natura comune della politica.
Pesca e marittimo. Per la pesca la soglia minima prospettata è di circa 2 miliardi di euro, con la possibilità per gli Stati di aggiungere risorse proprie.
Le critiche di Roma e delle altre capitali
Secondo Lollobrigida la proposta è debole sul piano politico e finanziario. “Al momento la proposta sulla futura Pac è condivisa solo dalla Commissione europea”, ha affermato, aggiungendo che “si stanno buttando al mare 60 anni di politica agricola comune” e che così si renderebbe “impossibile tutelare la sovranità alimentare dell’Ue”.
Dalla penisola iberica è arrivata una linea simile: il ministro spagnolo Luis Planas ha rimarcato che “si tratta di una politica europea e come tale va finanziata dall’Ue”. In Francia, la ministra Annie Genevard ha definito i numeri prospettati “non coerenti con l’impegno a tutelare la politica agricola”. Preoccupazioni affini si registrano in Austria e in Germania, dove si teme un indebolimento della dimensione comune della Pac.
In Italia non sono mancate le repliche politiche. Il capodelegazione PD al Parlamento europeo Nicola Zingaretti ha osservato: “Piccolo particolare: sono al governo e hanno indicato il commissario. Le ipotesi a questo punto sono due, o sono complici o non contano niente”.
La difesa della Commissione
Da Bruxelles la replica è netta: l’esecutivo insiste sul fatto che la riforma punta a una maggiore efficacia e a una migliore focalizzazione delle risorse, ricordando che i negoziati sono solo all’inizio e che il testo potrà cambiare lungo il percorso legislativo. Il commissario all’Agricoltura Christophe Hansen ha richiamato i tempi lunghi del processo: “È una maratona, non uno sprint”, rivendicando che il pacchetto è tra le opzioni più favorevoli oggi sul tavolo per sostenere il comparto.
Gli impatti per l’Italia
Dotazione minima. Per l’Italia si prospetta una dote di almeno 31 miliardi nell’arco di sette anni, integrabile con risorse nazionali. La riduzione complessiva, tuttavia, rischia di comprimere i sostegni al reddito e gli investimenti.
Filiera ittica. Il ridimensionamento dei fondi per la pesca — dagli attuali livelli complessivi di riferimento a una soglia minima europea inferiore — solleva timori nelle marinerie per la tenuta economica e l’accesso agli strumenti di modernizzazione e transizione.
Pressione sui bilanci nazionali. L’idea di colmare con fondi statali la differenza rispetto al quadro attuale sposta parte dell’onere sui conti pubblici, con rischi di frammentazione e di competizione fiscale tra Paesi.
Sovranità alimentare e mercato unico. Meno risorse comuni e più cofinanziamento nazionale possono ampliare le divergenze, incidendo sulla resilienza delle filiere, sul ricambio generazionale e sugli investimenti in innovazione e transizione climatica.
Cosa aspettarsi dai negoziati
Non siamo a un punto di non ritorno. Il Quadro finanziario pluriennale dovrà passare attraverso il vaglio del Consiglio e del Parlamento europeo. La posta in gioco non è solo la dimensione del sostegno, ma la sua architettura: quanto resterà davvero “comune” e quanto verrà demandato agli Stati? Per l’Italia sarà decisivo un lavoro diplomatico capillare, con la richiesta di tutele minime su pagamenti diretti, gestione del rischio e investimenti a lungo termine, evitando che la riforma si traduca in tagli lineari e in nuovi squilibri competitivi.