Secondo i dati del Kemira Water Index 2025, che misura la capacità dei sistemi idrici di anticipare, assorbire e recuperare da shock e stress (la cosiddetta water resilience), l’Italia evidenzia una vulnerabilità strutturale riflettendo un quadro critico rispetto ad altri Paesi europei analizzati. La classifica è dominata dai Paesi Nordici, con la Norvegia al primo posto, seguita da Svezia e Regno Unito.

ItaliaItaliaFoto di Andres Siimon su Unsplash.

Il nostro Paese mostra punteggi in tutte le aree di valutazione (disponibilità e vulnerabilità delle risorse idriche; efficacia dell’uso e della gestione; governance e capacità di rischio; capacità a lungo termine e investimenti) che la posizionano a un deludente 19° posto. A titolo di confronto, anche lo stato statunitense con la migliore performance, la California, farebbe fatica a entrare nella fascia alta della classifica europea.

Ranking e debolezze italiane: quadro critico

La siccità e la scarsità idrica sono tra le maggiori preoccupazioni per la popolazione italiana, un fenomeno che, come in Spagna e Francia, è sempre più intenso e frequente a causa del cambiamento climatico. Oltre la metà (53%) degli intervistati in Italia si è dichiarata preoccupata per la scarsità idrica.

Un dato interessante emerge dalla divisione geografica:

Nord Italia: la preoccupazione per l’acqua ha portato a un maggiore sostegno per le politiche restrittive. Il 45% degli intervistati supporta regolamentazioni più severe, ad esempio, per ridurre l’uso idrico industriale e prevenire l’inquinamento.
Sud Italia: più vulnerabile alla scarsità idrica percepita, il Sud mostra un cambiamento comportamentale diretto, con il 40% degli intervistati che afferma di aver modificato le proprie abitudini di pulizia e acquisto. Questo dimostra che l’esposizione diretta al problema è un fattore chiave per il cambiamento delle abitudini.

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Pfas, allarme contaminanti: il caso italiano

I Pfas rappresentano una sfida emergente per la sicurezza idrica globale. Queste sostanze sono definite come contaminanti persistenti che, pur essendo ampiamente utilizzati nella produzione industriale di beni di consumo quotidiano, non si degradano facilmente e possono finire nell’acqua potabile. A livello europeo, la preoccupazione è generalmente più alta rispetto agli Stati Uniti.

La Danimarca, ad esempio, mostra un livello di inquietudine molto elevato, con il 45% degli intervistati preoccupato per questi contaminanti. Sebbene la media europea di preoccupazione per i Pfas si attesti al 27%, l’Italia, che in generale veste la maglia nera per la resilienza idrica in Europa, si trova ad affrontare la necessità di migliorare i sistemi di trattamento dell’acqua per rimuovere efficacemente questi prodotti chimici. L’onere economico dell’inazione è significativo: si stima che il costo per la bonifica dei Pfas in Europa potrebbe superare i 1,8 trilioni di euro in vent’anni.

A livello globale, la preoccupazione del pubblico per i Pfas rimane sorprendentemente bassa. Meno del 30% degli intervistati nel sondaggio li ha indicati come la maggiore preoccupazione per i contaminanti nell’acqua potabile.

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L’efficienza idrica e la sfida dell’acqua in bottiglia

Un’altra anomalia italiana riguarda l’uso domestico dell’acqua potabile. Nonostante la sicurezza generale dell’acqua di rubinetto nei Paesi analizzati, solo il 55% degli italiani intervistati la indica come principale fonte di acqua potabile in casa. Questo è un dato inferiore alla media europea, che si attesta al 70%, e molto distante dai Paesi Nordici (come Danimarca e Norvegia, oltre l’85%). L’unica eccezione è la Spagna, dove la percentuale è ancora più bassa (35%).

Al contrario, negli Stati Uniti, quasi il 40% degli intervistati preferisce l’acqua in bottiglia, a fronte di un misero 26% che usa l’acqua del rubinetto. A livello globale, i dati evidenziano la disparità nell’efficienza idrica: i Paesi europei in generale consumano molta meno acqua pro capite rispetto agli Stati Uniti, dove il consumo quotidiano supera spesso i 500 litri a persona, contro i soli 104 litri della Danimarca.

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Politiche e investimenti: un segnale di sforzo (ma critico)

Nonostante la posizione in classifica, l’Italia sta intraprendendo azioni concrete per il futuro. Il Paese ha infatti annunciato investimenti multimiliardari in progetti di green water e infrastrutture idriche, allineandosi a nazioni come Francia, Spagna e i Paesi Nordici.

Tuttavia, la percezione pubblica sulla preparazione del Paese è fortemente negativa. Il nostro Paese, insieme ad altri europei, mostra un’alta percentuale di cittadini insoddisfatti delle performance del governo nella preparazione alle future sfide idriche. In Europa, il 76% degli intervistati ritiene che il proprio Paese stia operando male o abbia bisogno di migliorare nell’aiutare le comunità a prepararsi per le inondazioni. Questa insoddisfazione si riflette anche nella valutazione degli investimenti in infrastrutture (tubazioni, bacini idrici e impianti di trattamento), dove una quota significativa del pubblico italiano esprime un giudizio negativo sull’operato delle autorità.

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Il contesto globale: dalla leadership nordica al consumo USA

L’Index evidenzia come la resilienza idrica sia un tema globale con impatti locali profondi.

L’esempio della Norvegia. I Paesi Nordici dominano l’indice grazie alle abbondanti risorse naturali, ai solidi quadri di governance e alle politiche proattive di adattamento climatico.
La sfida dell’industria. L’uso industriale di acqua dolce è strettamente correlato alle esportazioni nazionali. In Europa, la Germania esercita la maggiore pressione, prelevando quasi il 20% dell’acqua disponibile per il settore industriale.
La crisi della preparazione individuale. A prescindere dalle performance nazionali, la preparazione dei cittadini è bassa ovunque. Meno del 14% delle famiglie in Europa e meno del 9% negli Stati Uniti ha un piano dettagliato di preparazione per una crisi idrica. Il divario tra l’elevata preoccupazione per i rischi idrici (come l’aumento delle temperature e degli eventi meteorologici estremi) e la scarsa azione individuale sottolinea la necessità di campagne di sensibilizzazione che promuovano un senso di responsabilità personale.

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