Anche la ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, come gli altri ministri del governo Meloni (in primis quello ai Trasporti, Matteo Salvini) non ha resistito alla tentazione di denigrare una mobilitazione aumentandone così la visibilità. Nel giorno del primo sciopero nazionale dei ricercatori e dei precari delle Università, frutto di un percorso di lotta cominciato un anno fa (e passato attraverso tre assemblee nazionali: il 25 ottobre 2024 con Novantapercento, il 20 dicembre 2024 con gli Stati di agitazione e lo scorso febbraio con le Assemblee precarie), la ministra ha dichiarato: «Non riesco a capire cosa vogliano, a parte la generica lamentazione. Sto dando loro tutto. Facessero la cortesia di non dare numeri a caso».

EPPURE LA PIATTAFORMA è chiara ed è la risposta ad alcuni processi che il governo di destra ha accelerato: il taglio delle risorse per gli atenei (a partire da quello del Fondo di finanziamento ordinario), l’espulsione di migliaia di ricercatori dalle università con la conclusione del Pnrr, la legge di riforma del pre ruolo e la militarizzazione della ricerca. Ma per la ministra la mobilitazione sarebbe «surreale», dato che i ricercatori starebbero «protestando per un problema che loro stessi hanno generato». E poi derubrica la crescente opposizione alle sue politiche sulla ricerca a «una piccola parte rumorosa che protesta facendo danno al restante 99%».

IN REALTà DALLE CRONACHE di ieri si direbbe il contrario: presidi e cortei si sono tenuti nelle università di tutta Italia, da Milano a Palermo, passando per Trento, Verona, Padova, Venezia, Urbino, Firenze, Roma, Palermo, Napoli, Salerno, Bari, Foggia. A Bologna la manifestazione è passata per il centro: «Quello che succede oggi dentro l’università riguarda tutti perché è in corso una riorganizzazione delle politiche europee». Nella Capitale un corteo spontaneo è arrivato sotto la sede della Crui (Conferenza dei Rettori). Diverse facoltà, in molte città, sono state occupate durante la serata.

«LO SCIOPERO SEGNA un salto di qualità decisivo – hanno spiegato i portavoce dell’assemblea precaria -. In questi mesi, centinaia di colleghi in tutta Italia si sono uniti alla nostra lotta e non è un caso che, per la prima volta, siano proprio i precari della ricerca a convocare uno sciopero». I ricercatori hanno sottolineato come lo sciopero, per chi non ha diritti, non sia «una scelta scontata: è il segnale di una nuova consapevolezza che il nostro lavoro è essenziale per il funzionamento dell’università e va riconosciuto». Il rischio è che la precarietà trascini l’università italiana «verso una crisi irreversibile», ha spiegato Giuseppe Lipari di Adi (Associazione nazionale dottorandi e dottori di ricerca italiano) che ha supportato la mobilitazione con la Flc Cgil, Usi, Cub, Adl Cobas e Clap.

LA SORTITA DELLA MINISTRA ha avuto anche il merito di compattare l’opposizione. «Le sue dichiarazioni sono un’offesa nei confronti di tutti i precari della ricerca, le ritiri e convochi immediatamente i sindacati e le organizzazioni dei precari al ministero», ha detto Elisabetta Piccolotti di Avs. A fianco dei ricercatori si schierano anche M5S, Iv e Pd. «Lo sciopero ripropone un tema di grande importanza, che gran parte del dibattito pubblico continua a rimuovere: circa 35mila precari della ricerca nei prossimi mesi resteranno senza un contratto, è questa la vera emergenza che richiede un immediato intervento del governo», ha commentato il responsabile Università dei dem, Alfredo D’Attorre.