La Nazionale prova a mettersi alle spalle l’ultima Apocalisse targata Spalletti. Dodici mesi di contratto, o la va o la spacca. Inizia l’era di Gattuso, il primo ct calabrese, il secondo meridionale dopo Antonio Conte. Non vuole neppure immaginare di entrare al contrario nella storia: lui vuole la qualificazione per Usa 2026. «Ci andremo, ne sono convinto». Torna in Italia, la sua Itaca, dopo 4 anni di pellegrinaggi. A Napoli fu Luciano a prendere il suo posto, nel maggio del 2021, dopo l’1-1 con il Verona e la Coppa Italia dell’estate prima. Stavolta, le parti si sono invertite: «È un maestro per me». Fa continue pause perché le parole giuste vanno cercate, mica vengono come vengono. Il suo primo assalto a un Mondiale da commissario tecnico. Ma non è da solo nella tempesta, avrà una squadra di ex compagni di Nazionale come Buffon, Bonucci, Zambrotta. «Nonostante ci sia in serie A solo il 32 per cento di calciatori italiani sono molto fiducioso» ha detto. E quel nonostante è la parola che Ringhio potrebbe incidere sul suo scudo araldico. Felice, nervoso, agitato, emozionato: nonostante tutto «è un sogno».
APPROFONDIMENTI
Gattuso, emozionato?
«Soprattutto quando ho sentito i miei genitori commossi alla notizia che diventavo il commissario tecnico dell’Italia. Questo è un sogno che si avvera e io spero di essere all’altezza. So che il compito non è facile ma di facile nella vita non c’è nulla. Io e io mio staff sappiamo che c’è tanto da lavorare. E lo faremo senza perdere tempo (nel week end raggiunge l’Under 21 nel ritiro in Slovacchia ndr) ma c’è la consapevolezza di poter fare un grandissimo lavoro. C’è da lavorare, da andare in giro e parlare coi giocatori per entrare nella loro testa. Sento dire da tanti anni che non c’è talento, ma io penso che i giocatori ci siano e dobbiamo solo metterli nella condizione di farli esprimere al massimo. È fondamentale tornare a giocare il Mondiale».
Si riparte dall’entusiasmo?
«Certo, non bisogna pensare in modo negativo. Chi viene a Coverciano deve arrivarci con entusiasmo, dobbiamo essere una famiglia. Oltre la tecnica e la tattica dobbiamo ritrovare quel gruppo che per tanti anni ci ha contraddistinto nel mondo. Ma non sono Harry Potter, non faccio magie, posso solo garantire impegno per cercare di entrare nella testa dei giocatori. Sugli aspetti tecnico-tattici i giorni sono pochi e starà a noi fare meno danni possibili e tirare fuori la voglia e l’entusiasmo e sono sicuro che ci riusciremo».
Che identità bisogna ritrovare?
«Quest’anno in Serie A c’era il 68% di giocatori stranieri e questo dato deve farci riflettere. Dobbiamo dare spazio ai giovani. Stare fuori due volte dal Mondiale non è semplice, per questo motivo dobbiamo ritrovare entusiasmo perché con la paura non si va da nessuna parte».
Il presidente del Senato, La Russa, è stato duro con lei.
«Spero di fargli cambiare idea (e La Russa gli ha replicato: «Lui è l’immagine della resilienza, del ringhio. Lui non è Baggio o Del Piero», ndr). Ma posso assicurare che nel 2005 sono stato male dopo la finale con il Liverpool, volevo lasciare il Milan, per cinque settimane non ho chiuso occhio dopo che vincevo una 3-0 e l’ho persa».
Come ct sarà più simile al Gattuso calciatore o a Gattuso allenatore?
«Il Gattuso allenatore il Gattuso calciatore non lo farebbe giocare, visto che faceva tutto di testa sua e non sentiva nessuno. Ovvio, la mia figura da calciatore è difficile da cancellare. Tutti pensano a me ancora tutto cuore e grinta ma il calcio è tattica, lavoro quotidiano. Devo entrare in pochi giorni nella testa di tutti i miei. È una sfida che mi appassiona».
Dicono che ha raccolto risultati deludenti.
«Con il Napoli ho perso una Champions con 77 punti, col Milan non ci sono andato sempre per un punto. Con l’Hajduk dopo 19 anni ci siamo giocati il campionato con una squadra imbottita di giovani all’ultima giornata. Dipende poi come vengono scritte le cose».
Al Napoli era un martellamento quotidiano. Ora da ct come cambia il suo approccio?
«La quotidianità, ovviamente, sarà diversa. Spero di non stressare troppo i colleghi della Serie A e chi lavora all’estero, l’obiettivo è andare nei ritiri a vedere gli allenamenti, parlare coi giocatori e andare negli stadi a guardare le partite. Sarà questa la vita, treni, aerei, vedere i giocatori e fare le scelte migliori».
Si è sentito con Lippi. Cosa le ha detto?
«Non posso dirlo, visto che pure lui non lo ha voluto dire. Io spero di fare ciò che ha fatto Marcello: non dico alzare la Coppa al cielo, ma creare quell’alchimia nello spogliatoio come riuscì a lui nel 2006. Spero di ricreare quel senso di appartenenza».
4-3-3 come a Napoli o come la sua prima Italia?
«Il nostro campionato dice che il 40% delle squadre giocano con la difesa a tre e le altre a quattro. Ma non è una questione di moduli: dobbiamo mettere i giocatori al posto giusto e iniziare a macinare vittorie e fare gol. Come differenza reti noi siamo a -1 e la Norvegia a +11. Dobbiamo mettere in campo una squadra a cui piace stare nella metà campo avversaria, poi i moduli trovano il tempo che trovano».
Cosa pensa di chi rifiuta la Nazionale?
«Bisogna anche vedere e capire perché un calciatore rifiuta la Nazionale. Chi viene a Coverciano deve restarci anche se ha un problemino, tanto lì c’è tutto per curarli. Per essere credibili e non creare delle scuse: chi è convocato in Nazionale sta a Coverciano come si faceva quando giocavo io, poi se non si riesce a farlo guarire torna nel club di appartenenza. La cosa più importante è stare tanto tempo insieme, io se stavo dietro ai miei dolorini almeno una cinquantina di partite non le avrei mai giocate».
Quali saranno le prime parole che dirà ai giocatori?
«Voglio che l’Italia sia una famiglia. Come lo era la mia Nazionale. Vado alla ricerca di quello spirito: dovremo dirci le cose in faccia. In campo le difficoltà ci sono in qualsiasi momento e se non si fa una corsa in più diventa dura, in questo momento dobbiamo riuscire a cambiare questo aspetto. Dobbiamo dirci anche le cose che non vogliamo sentire, solo così si può crescere».
Cosa ha fatto in questi primi giorni?
«Ho chiamato 35 calciatori. E ho parlato con loro. Ma voglio vedere cosa dice il campionato. No, Acerbi no. Non rientra nel mio progetto, ma non c’entra quello che è successo. Ho parlato anche con Chiesa e gli ho detto che deve trovare il modo di giocare con continuità: vale per lui come per gli altri».
Cosa ha pensato dopo lo 0-3 di Oslo con la Norvegia?
«Non può essere una questione di pressione perché la pressione la porta la maglia azzurra, siamo la Nazionale che ha vinto quattro Mondiali e restare due volte fuori dalla fase finale è un peso. Dobbiamo essere bravi a reagire. La Norvegia? Andava 3-4 volte più forte di noi».
Cosa salva dell’Italia di Spalletti?
«Con Luciano ci siamo sentiti e di lui ho una stima incredibile, è un maestro che mastica calcio da tanti anni. Ogni anno riesce a fare cose nuove. In questo momento devo vedere cosa vogliamo fare, ma la sua professionalità è incredibile. Ha fatto un lavoro importante con la maglia della Nazionale. Cambiamenti non se ne possono fare, c’è poco tempo per poter pensare a chissà che cosa».
Su cosa sarà intransigente?
«Voglio vedere sempre andare i miei a 1000 all’ora… Non posso fare il sergente di ferro o il poliziotto per le cose fuori dal campo, ma quando un giocatore si allena con me non deve mai risparmiarsi, neppure per un secondo».