Covivio rafforza la propria esposizione nell’hôtellerie, confermando la svolta strategica del gruppo: obiettivo ribilanciare il portafoglio con un terzo dedicato agli hotel, riducendo gli uffici obsoleti e rafforzando la presenza nel Sud Europa. “Il segmento sta performando molto bene, vogliamo crescere sia come proprietari sia, in parte, nella gestione diretta delle strutture”, spiega a Pambianco Real Estate Alexei Dal Pastro, CEO Italia di Covivio. Che precisa: “si tratta di un trend settoriale legato, a mio avviso, a una forte riassegnazione di investimenti sul leisure e sull’hôtellerie dopo il Covid. Assistiamo a una crescita veramente importante, visibile in Italia ma anche in Europa. Noi ovviamente siamo molto attenti a questi trend. Conosciamo l’asset class e ne padroneggiamo i fondamentali attraverso la nostra partecipata Covivio Hotels, la più grande piattaforma europea nel segmento: circa 280 hotel in 12 Paesi, oltre 6 miliardi di valore, 40.000 camere. Abbiamo quindi già un’esposizione molto rilevante, e continuiamo a considerare l’hotel una delle asset class su cui vogliamo crescere”.

Qual è oggi la vostra asset allocation e come sta evolvendo?

“Oggi, fatto 100 della nostra allocazione, circa il 50 riguarda gli uffici, il 30 il residenziale e il 20 gli hotel. Il nostro obiettivo di breve termine è di arrivare a un terzo per ciascun asset, riducendo l’esposizione sugli uffici che post Covid stanno evidenziando sempre più una polarizzazione. Alcuni performano benissimo — quelli in centro città, ristrutturati di recente, che rispondono alle esigenze moderne, con servizi integrati e alta qualità — e sono molto richiesti. A Milano, da oltre tre anni, abbiamo un tasso di occupazione superiore al 98%. Questo lo confermano anche i report di mercato, che indicano come il livello degli affitti per gli uffici di qualità in Europa continui a crescere. Certo, c’è anche una tipologia di uffici che soffre: quelli non efficienti, obsoleti, privi di servizi. Per questi, abbiamo in corso una strategia di valorizzazione e dismissione progressiva. Non vogliamo aumentare l’esposizione su quegli immobili, riallocare sull’asset class hotel. In particolare, ci interessa crescere nel Sud Europa. Siamo già presenti in dieci Paesi, ma l’Italia e la Spagna sono oggi le due country su cui vogliamo lavorare di più”.

Cosa può dirci della vostra strategia in Italia?

“È una strategia di crescita, certamente. E si articola su diverse direttrici. Dall’acquisizione di asset esistenti, laddove si presentano opportunità interessanti, con potenziale. Un’altra è rappresentata dalla ‘trasformazione: stiamo lavorando su un’operazione — che non posso ancora rendere pubblica — in cui un ufficio verrà riconvertito in hotel. Lo comunicheremo a brevissimo. È una modalità molto interessante per noi, perché consente, con un’unica operazione, di ridurre l’esposizione sugli uffici e aumentare quella sull’hôtellerie. Abbiamo competenze di sviluppo in-house che ci consentono di realizzare questi interventi. Un altro canale è quello delle operazioni strutturate: qualche anno fa, ad esempio, abbiamo acquistato quello che restava del portafoglio Boscolo. Alcuni immobili erano in Italia, anche se la maggior parte all’estero. Abbiamo collaborato con il gruppo per riposizionare il brand e supportare la sua espansione europea. Anche operazioni di joint venture o acquisto di portafogli sono sul nostro radar”.

Su quale tipologia di hotel vi concentrate?

“Ci concentriamo principalmente sui city hotel, in città con forte domanda turistica e business: Milano, Roma, Venezia, Firenze. Destinazioni classiche del leisure, ma con forte componente corporate e un turnover di notti significativo. In linea di principio, difficilmente investiremmo in un resort nel Chianti, anche se, a livello di gruppo, recentemente abbiamo acquisito un resort a Tenerife (l’Iberostar Las Dalias ). Ma, parlando di Italia, ci interessano mercati solidi e profondi, non necessariamente piccoli borghi — per quanto affascinanti — dove la sostenibilità economica dell’investimento può essere meno strutturata”.

Tra le ‘secondary locations’ italiane, Napoli è nel vostro radar?

“Assolutamente, una priorità: tre milioni di abitanti, afflusso turistico in crescita costante, una delle città con il maggiore slancio attuale. Ci interessa moltissimo”.

Oltre alla posizione, quali sono gli altri criteri che guidano la selezione degli hotel?

“Senz’altro la sostenibilità. Per noi è un tema centrale, come già lo è stato per gli uffici. Se un immobile entra nel nostro portafoglio, deve essere performante dal punto di vista energetico, certificato, sostenibile. Se non lo è, lo portiamo a quegli standard. Siamo prossimi al 100% di certificazioni ESG sull’intero portafoglio, non solo hotel. Ma ogni immobile ha caratteristiche proprie, impianti propri: gli interventi vanno tarati caso per caso. Nell’hôtellerie, poi, tutto questo è ancora più rilevante. Lavorando con oltre dieci catene alberghiere, siamo ben consapevoli dei loro brief e delle loro richieste. Ci chiedono spazi funzionali, sostenibili, efficienti: dalla logistica interna all’efficienza energetica. Noi siamo essenzialemente proprietari degli immobili, ma è nostro interesse massimizzare il valore dell’asset. Perciò, oltre a rispettare i loro standard, introduciamo anche interventi migliorativi, ESG e gestionali, frutto della nostra esperienza diretta. Si tratta di un pre-requisito. Servono investimenti e soluzioni ad hoc per efficientare l’utilizzo”.

Quale sarà il peso dell’Italia nei prossimi anni?

“Italia e Spagna sono on top of the list. C’è voglia di crescere. Il medium term target è passare dal 20 al 30% di hotel. Intendiamo spostare il 10-13% su questa asset class. Ovviamente dipenderà dalle opportunità. Certamente l’Italia è uno dei paesi nel quale ci interessa maggiormente aumentare la nostra esposizione”.

E a proposito di gestione diretta, avete anche una piattaforma interna

“Sì, è una delle novità principali di quest’anno. Abbiamo visto — trasversalmente su tutte le asset class — che chi gestisce direttamente, se lo fa bene, ottiene risultati migliori rispetto al solo affitto passivo. Quindi, oltre a voler crescere come proprietari nei termini che ho descritto, vogliamo aumentare l’esposizione diretta nella gestione. Vogliamo avere tradizionali contratti di affitto su almeno il 50% del nostro portafoglio di hotel, ma ci interessa in taluni casi anche avere un’esposizione sul business sottostante all’asse immobiliare. Avere un’esposizione all’Ebitda, se le performance sono crescenti, può essere ulteriormente premiante. Abbiamo dato un nome alla piattaforma: WiZiU, proprio per indicare l’idea di prossimità e coinvolgimento diretto. Nel primo semestre di quest’anno, le performance sono state superiori alle attese. Abbiamo rafforzato l’organizzazione, che oggi conta su 24 strutture gestite. È un business più complesso rispetto all’essere semplicemente proprietari, ma ci piace, ci sta dando risultati e intendiamo svilupparlo ulteriormente. Su taluni hotel, vogliamo mantenere la stabilità di lungo periodo data dall’affitto, ma su altri vogliamo partecipare anche al business operativo, perché riteniamo possa essere ancora più premiante”.

La possibile introduzione di dazi USA su beni europei può impattare anche sul settore hotel?

“È la domanda che tutti ci stiamo ponendo. Se guardiamo ai mercati azionari, le quotazioni delle società quotate nel settore — anche alcune molto esposte sull’hôtellerie — stanno mostrando un’alta volatilità a causa della turbolenza geopolitica. È un segnale della difficoltà di prevedere l’impatto delle tensioni commerciali. Nel caso degli hotel, non vedo un impatto diretto. A differenza degli uffici — dove c’è una correlazione diretta con lo stato dell’economia e del personale occupato — nell’hotel e nel leisure l’effetto può arrivare con ritardo, a fronte di una riduzione del reddito disponibile delle famiglie. Tuttavia, riteniamo che il cambiamento strutturale nei consumi post-Covid — che vede la componente esperienziale, come i viaggi, prevalere su altre forme di spesa — possa controbilanciare eventuali effetti negativi. In sintesi: una guerra commerciale fa male a tutti, ma vogliamo sperare che prevalga il buon senso e si trovi una soluzione ragionevole per l’economia comune”.