Una sentenza della Corte costituzionale ha confermato che resta valido il divieto per un medico o una persona terza di somministrare un farmaco a un paziente per farlo morire, anche se lo ha chiesto il paziente e non può farlo da solo a causa di una malattia grave, irreversibile e totalmente invalidante (la cosiddetta “eutanasia”). La Corte ha infatti dichiarato inammissibile una questione di legittimità posta dal tribunale di Firenze riguardo al caso di una donna toscana di 55 anni, identificata con il nome di fantasia “Libera”, che è affetta da una forma avanzata di sclerosi multipla ed è completamente paralizzata dal collo in giù.
Libera ha tutti e quattro i requisiti con cui in Italia potrebbe accedere al suicidio assistito, quelli contenuti nella sentenza della Corte costituzionale del 2019, ma non può somministrarsi un farmaco in maniera autonoma. Ha bisogno dell’aiuto di un medico che però ora rischierebbe da sei a quindici anni di carcere per averle somministrato un farmaco letale: allo stato attuale sarebbe a tutti gli effetti un omicidio, e non avrebbe nessun valore legale il fatto che sia stata la donna a chiederlo.
Il tribunale di Firenze aveva quindi chiesto alla Corte costituzionale di stabilire se sia conforme ai principi della Costituzione vietare del tutto e in ogni caso l’omicidio del consenziente (articolo 579 del codice penale), e quindi l’eutanasia, o se invece possano esserci delle eccezioni. Come ha fatto notare l’associazione Luca Coscioni, che si occupa da anni di libertà di scelta sul cosiddetto “fine vita” e che ha seguito Libera, la sentenza della Corte non ha preso una decisione definitiva di merito sull’eutanasia: non ha ammesso la questione del tribunale di Firenze perché dice che prima è necessario verificare se esistano strumenti che permettano alla persona malata di somministrarsi da sola il farmaco.
Secondo la Corte, prima di sollevare la questione di legittimità, il tribunale di Firenze avrebbe dovuto coinvolgere enti come l’Istituto superiore di sanità, oltre all’azienda sanitaria locale, per verificare se si potessero recuperare strumenti o macchinari che Libera poteva usare per somministrarsi il farmaco da sola (una pompa attivabile con un comando vocale, la bocca o gli occhi). Semplificando molto, secondo la Corte costituzionale non è insomma stato fatto tutto il necessario per consentire a Libera di accedere al suicidio assistito: questo rende inammissibile la questione di legittimità sull’omicidio del consenziente, e dunque l’eutanasia.
La Corte ha però specificato che una persona nelle condizioni di Libera ha «diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale (Ssn) nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego». Nel caso gli strumenti o i macchinari esistano, il Ssn dovrebbe quindi procurarseli e fornirli.
Il coinvolgimento del Ssn nella pratica della morte assistita è anche uno dei due temi su cui si stanno concentrando di più le polemiche in parlamento a proposito del disegno di legge del governo sul “fine vita”, come viene definito l’insieme delle scelte che riguardano la morte e il periodo che la precede: al momento è in discussione al Senato.
L’articolo 4 del testo promosso dal governo stabilisce che «il personale in servizio, le strumentazioni e i farmaci di cui dispone a qualsiasi titolo il Servizio sanitario nazionale non possono essere impiegati al fine dell’agevolazione» della morte assistita. Il senatore del Partito Democratico Alfredo Bazoli ha quindi detto che a fronte dell’ultima sentenza della Corte costituzionale il disegno di legge «dovrà essere necessariamente integrato con una espressa e chiara previsione del coinvolgimento del servizio sanitario nazionale».
L’associazione Coscioni ha detto che chiederà al tribunale di Firenze di fare le verifiche richieste dalla Corte.
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