Sinner l’americano sa ancora d’erba
(Gaia Piccardi) Cosa hai fatto dopo Wimbledon, gli chiede Carlos Alcaraz incontrandolo sul campo d’allenamento a Cincinnati un mese dopo lo storico incrocio londinese. «Oh, niente di pazzo» risponde Jannik Sinner, sbarcato in Ohio per le prove tecniche di Open Usa che l’anno scorso — al netto del caso Clostebol al suo snodo decisivo, tra colloqui su zoom con i componenti del tribunale che lo giudicava e decisione di proscioglimento — funzionarono alla grande.
Nulla turba la normalità del campione di Wimbledon, tornato a parlare di tennis e di sé («A Londra ho stupito anche me stesso: rientrare in campo e riuscire ad esprimere quel livello di tennis dopo ciò che era successo al Roland Garros, a tratti mi ha sorpreso») con pochissima voglia di dare spiegazioni sull’andirivieni del preparatore atletico Umberto Ferrara, prima allontanato perché la fiducia era venuta a mancare e poi, giubilati Panichi e Badio, riammesso nel team. Sul tema, che ha riaperto un fronte polemico destinato a non chiudersi qui, il numero uno è lapidario: «Ho già detto tutto nel comunicato stampa, non c’è altro da aggiungere».
Non resta che parlare di tennis. Di un Master 1000 allargato nel tabellone e nella durata («Per i tifosi due settimane vanno bene, per noi meno: io preferisco il format di Montecarlo»), a cui Sinner si è preparato dopo aver staccato da tutto («Mi sono preso del tempo per stare con la famiglia, gli amici, le persone importanti per me»), per poi ricomparire a Montecarlo con Vagnozzi e Ferrara («La stagione americana è davvero importante, era necessario arrivare pronto»), invitando Matteo Berrettini a un pomeriggio di lavoro sui courts in cemento del Country Club, con la speranza di rivederlo a New York.
Il Sinner dei primi giorni americani è sorridente, spensierato, leggero. Lontanissimo dal Sinner accigliato di un anno fa, il periodo peggiore della carriera. Ha giocato a calcio-tennis coinvolgendo l’amico Nicolò Inserra, classe ‘99 genovese, e a bocce con i coach. Come da programma, infatti, negli Usa Jannik ha ritrovato Darren Cahill, che nel 2024 fu il pilastro emotivo della conquista dello Slam newyorkese, a cui — come a Wimbledon — era arrivato senza preparatore né fisioterapista, con l’incertezza dell’accoglienza del pubblico dopo la brutta storia della positività.
Poiché i tennisti sono atleti abitudinari, in Ohio il barone rosso è tornato a indossare la manica protettiva sul braccio destro infortunato a Londra. Non si tratta nemmeno di una scelta precauzionale: «Il gomito sta bene, mi piace la sensazione: mi dà più stabilità nell’impatto con la palla. Ho l’impressione di riuscire a colpire meglio».
I campi di Cincinnati, dove per la prima volta ci sono cinque italiani teste di serie in un Master 1000, sono stati rinnovati e vengono segnalati più lenti. Può essere che il manicotto dia a Sinner la percezione di poter colpire la palla ancora più forte.
Da New York, intanto, arriva la notizia di un Open Usa sempre più ricco: con un incremento del montepremi totale del 20%, l’ultimo Slam stagionale diventa il primo torneo a superare i 90 milioni di dollari. Ai vincitori del singolare andranno 5 milioni, il 39% in più dei 3,6 che Sinner si mise in tasca l’anno scorso