Da alcuni anni in Italia è in corso un grande tentativo di tornare a fare i film dell’orrore, dopo diversi decenni in cui ne sono stati prodotti pochissimi e con scarso successo. È un’operazione complicata, perché non ci sono più le conoscenze e l’esperienza per realizzarli bene e perché produttori e distributori sanno che anche gli spettatori appassionati del genere sono sfiduciati rispetto alla possibilità che un horror italiano possa essere un buon film. In più i pochissimi che si sono fatti, tranne rare eccezioni, hanno confermato questo pregiudizio.

Per questo il fatto che alla Mostra del Cinema di Venezia sia stato presentato un film horror italiano fatto come gli horror internazionali è a suo modo notizia, oltre che l’apice di un lento processo di riconquista della fiducia nei propri mezzi di questo pezzo di industria. Si intitola La valle dei sorrisi ed è di Paolo Strippoli, uscirà in sala poco dopo la proiezione a Venezia, il 17 settembre.

La storia è quella di un maestro di ginnastica che dal Sud arriva in un paesino montuoso del Nord Italia. Lentamente capisce che tutti lì devono essere felici, per forza, e che la cosa è legata a uno dei suoi studenti, dall’aria inquietante, emarginato in classe ma considerato da tutti una risorsa preziosa da proteggere.

La ragione per la quale il cinema italiano, nonostante i molti fallimenti, sta cercando di ricominciare a fare film dell’orrore è che negli ultimi quindici anni gli esempi stranieri hanno dimostrato che i film di paura sono gli unici a incassare molto e con costanza, senza bisogno di essere remake, sequel o adattamenti di altre storie. E questo anche quando escono in Italia. Da quando nel 2016 Lo chiamavano Jeeg Robot dimostrò che esiste un pubblico disposto a vedere un film italiano fantastico e spettacolare, se fatto a un livello internazionale, i tentativi si sono fatti più frequenti, anche se con tutta la cautela del caso.

La valle dei sorrisi però appare subito un caso diverso, già dal punto di vista produttivo, cioè dalla qualità delle immagini e da quanto il contesto, gli ambienti, i volti scelti, la musica e lo svolgimento appaiono adeguati e corretti al genere. È insomma un tentativo che nasce con un’altra ambizione da parte sia della casa di produzione Fandango, che non è al primo tentativo di rilancio del genere, sia di Nightswim (società di cui è cofondatore uno sceneggiatore: Stefano Sardo).

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Questo è stato possibile anche in virtù dei trascorsi di Paolo Strippoli, che ha scritto il film con Milo Tissone e Jacopo Del Giudice. Nel 2021 infatti Strippoli aveva co-diretto con Roberto De Feo A Classic Horror Story, non distribuito nei cinema ma venduto a Netflix, un film che stava a metà tra un horror serio e qualcosa che finge di esserlo, che sapeva maneggiare, giocare e quasi prendere in giro le regole del genere. Poi aveva girato Piove, un horror più serio, che fu un po’ meno apprezzato ma ugualmente considerato dalla critica. Ciononostante, come ha spiegato Stefano Sardo in conferenza stampa, «tutti gli operatori di mercato con cui abbiamo parlato ci dicevano “Va bene tutto ma non un horror” e lo dicevano anche quelli che avevano manifestato interesse a lavorare con Strippoli. Fandango e Vision invece ci hanno creduto».

Nel complesso ci sono voluti sette anni perché il film si facesse, cioè sette anni da quando la sceneggiatura è stata finita e si è cominciato a girare. E anche quello che è stato poi il protagonista del film aveva dei pregiudizi: Michele Riondino, esprimendo quello che sembra un sentire comune nel cinema italiano, ha raccontato che prima di leggere la sceneggiatura era scettico perché non ama l’horror. Sempre Riondino ha poi detto una che molto spesso viene ripetuta da chi fa un film horror in Italia: cioè che il film è «qualcosa di più di un horror», una precisazione che a suo modo implica che un horror, in sé, non sia abbastanza.

La valle dei sorrisi ha in comune con gli horror internazionali più noti l’idea di fare quello che viene definito “folk horror”, cioè trovare cose spaventose nelle storie e tradizioni popolari di provincia. Nella seconda, quando vira più decisamente nell’orrore, diventa un elevated horror, cioè il tipo di film di paura che ha ambizioni intellettuali e autoriali non solo nella scrittura ma anche nelle immagini.

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Le diverse ragioni per le quali La valle dei sorrisi può essere considerato un progresso nella produzione di horror italiani sono tutte relative ai problemi che film di questo tipo hanno mostrato in passato e a come siano stati superati. Il più grande è la conoscenza del genere: come tutti i generi letterari o cinematografici, anche l’orrore ha delle regole di scrittura e messa in scena sulle quali ogni produzione applica una variazione. In passato film italiani come Paura 3D (dei fratelli Manetti), The End? o Home Education avevano mostrato una certa fatica ad applicare quelle regole a una storia italiana: erano horror negli spunti ma non lo erano per nulla nella pratica. La valle dei sorrisi invece da subito mostra delle immagini e crea un’atmosfera inquietante che sono al livello di quelle a cui ha abituato l’horror contemporaneo internazionale, e mantiene un certo equilibrio tra mistero e prevedibilità nella storia.

È un film horror diverso dal solito anche per la recitazione. Essendo stati prodotti pochi horror in Italia negli ultimi decenni, gli attori professionisti oggi in attività non conoscono o non sono abituati a recitare come si fa nei film di paura: o sono poco credibili, o scimmiottano toni e atteggiamenti dei film americani. Era capitato per esempio in Pantafa, un tentativo di horror con protagonista Kasia Smutniak sempre prodotto da Fandango. Non a caso i film di paura italiani più apprezzati dal 2000 a oggi o avevano attori stranieri (Shadow di Federico Zampaglione nel 2009), o attori giovani e poco noti (A Classic Horror Story nel 2021), o ancora avevano adattato efficacemente i dialoghi e la trama per avvicinare il film a come si recita in Italia (è il caso di Riccardo Scamarcio in Il legame del 2020).

Anche se oggi il cinema italiano fatica a fare horror, storicamente è stato invece uno dei paesi che ne ha prodotti di più. Negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta si producevano film horror splatter (quelli con molto sangue), d’autore, di zombie, di fantasmi e di vampiri in un buon numero. I registi più importanti, come Lucio Fulci o Mario Bava e poi Dario Argento, hanno anche creato un sottogenere definito “giallo italiano”, che è stato molto esportato e, in certi momenti, quasi di maggiore successo all’estero che in Italia.

Anche per questo ha influenzato la generazione di registi americani e internazionali che hanno iniziato a fare film negli anni Ottanta e Novanta, come Joe Dante (Gremlins) o Sam Raimi (La casa), o anche i più giovani e cinefili come Eli Roth (Hostel). Erano film spesso poveri ma pieni di trucchi inventivi, specialmente quelli di Mario Bava che era uno specialista di effetti analogici inventati in prima persona, che piacevano all’estero anche perché molto più violenti ed efferati di quanto film americani o inglesi potessero permettersi di essere, per diverse regole di classificazione o censura.

A partire dagli anni Ottanta questa tradizione è andata scemando. Il pubblico degli horror italiani è scomparso o ha cominciato a frequentare di meno i cinema, preferendo la televisione, e il pubblico nuovo non era interessato a film dell’orrore. Lentamente si è smesso di produrli, e questo ha fatto sì che l’industria italiana non si tenesse aggiornata sui cambiamenti di linguaggio e tecnologici.

Oggi è molto indietro da tanti punti di vista e, non potendo permettersi trucchi arditi, computer grafica o immagini impressionanti, ricorre a vecchi espedienti. Che non è necessariamente un male: l’horror è l’unico genere in cui una produzione povera non fa necessariamente pensare al pubblico che sta vedendo a un film povero. La valle dei sorrisi per esempio fa un ampio uso del trucco e non di soluzioni più avanzate per le parti più spaventose, e la cosa appare coerente con il film. Lo stesso il film dovrà dimostrare di avere anche un senso economico: «Io e Roberto De Feo ne parliamo spesso [del destino dell’horror in italia ndr] e siamo disperati.» ha detto Paolo Strippoli in conferenza stampa, «Ora spero che questo film vada bene ma fino a che se ne fa uno ogni due tre anni, non si crea un vero mercato».