C’è un racconto di Borges che narra di un impero lontanissimo le cui abilità cartografiche erano tali da costruire una mappa talmente precisa e vasta da coincidere con il territorio stesso di quell’impero. Tuttavia, dopo tempo, colta la sua inutilità le generazioni successive ne abbandonarono l’uso e di essa si trovano ancora laceri brandelli qua e là in qualche deserto. La morale del racconto in definitiva è questa: la rappresentazione della realtà non potrà mai sostituirsi alla realtà stessa. Ma, oggi, nell’epoca della post-verità, quanto siamo certi di questa affermazione?
Un recente saggio del giornalista Andrea Daniele Signorelli intitolato Simulacri digitali, pubblicato da add editore, riflette sul fatto che proprio questo assunto pare sempre più in crisi e analizza il ruolo giocato dalle tecnologie digitali in questo processo. Fenomeni come i deep fake, la progressiva e apparente umanizzazione dei bot, i prodotti dell’Intelligenza Artificiale sembrano oggi mettere in crisi il nostro concetto di realtà e sganciare i fenomeni che la regolano, sempre più smaterializzati e astratti. Che fine fa la realtà al tempo della rivoluzione digitale? Fino a quando saremo in grado di distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è? Signorelli si addentra nei meandri di questo labirinto ragionando in modo critico sul ruolo delle nuove tecnologie in questa sostituzione della realtà da parte dei suoi simulacri.
Andrea Daniele Signorelli. Foto: press
Un punto centrale della sua riflessione è il ruolo giocato dalle IA. Raccontandone lo sviluppo in termini informatici, Signorelli a un tempo smonta le mitologie apocalittiche su un presunto futuro dominio dell’IA sulle menti umane, senza però tralasciare le problematiche attuali. Da un lato infatti le IA come ChatGPT di intelligente non hanno proprio nulla, tendendo a infarcire di errori e “allucinazioni” le loro informazioni nel tentativo di provare a indovinare le risposte statisticamente più coerenti con le richieste effettuate. D’altro canto, tuttavia, nutrendosi e allenandosi attraverso banche dati preesistenti le IA tendono a non sviluppare forme di riflessione differenti dalla maggioranza delle informazioni su cui sono modellate. Così, piuttosto che il rischio dell’avvento di una distopica superintelligenza, è senz’altro molto più importante notare il ruolo spesso discriminatorio delle IA quando usate ad esempio per sistemi di sicurezza, di calcolo del rischio, di selezione del personale eccetera. Allo stesso tempo fatti come i deepfake, lungi dall’essere uno strumento catastrofico di crisi epistemica, riescono tuttavia a operare una distorsione significativa della realtà mandando in crisi l’idea di informazione, generando conseguenze molto meno sensazionali, ma più silenziosamente insidiose.
Scrive infatti Signorelli: «Le conseguenze di questo caos informativo potrebbero essere duplici: da un parte il crescente scetticismo verso la genuinità dei contenuti che compaiono sui nostri social rischia di aumentare la polarizzazione politica costringendoci a dare credito solo a ciò che conferma la nostra visione delle cose. Dall’altra chi rifiuta questa parzialità rischia di vedere compromesso il proprio equilibrio gnoseologico portandolo a dubitare sempre di ciò che online lo circonda».
Insomma, non importa se ciò che vedo è falso, importa che confermi la nostra visione delle cose. Oppure, nel dubbio, temeremo che sia tutto sempre falso.
Così, se il web per come era – di massa, aperto a tutti, generato e condiviso in larga parte dagli utenti e gratuito – sta scomparendo, al suo posto sembra insorgere uno spazio digitale in grado di favorire assurdità, cospirazionismi e radicalizzazioni ideologiche; tutti prodotti insieme di una gigantesca confusione a livello cognitivo e di equivoco tra realtà e finzione.
In una lunghissima tradizione filosofica che va da Heidegger ad Hannah Arendt si diceva che la dimensione oggettuale della realtà è quella che dona e determina l’identità dell’essere umano. La sua mutevole percezione di sé viene in qualche modo ancorata al mondo proprio grazie alla sostanza immutabile delle cose, ossia, il fatto che esista una corrispondenza tra nome-oggetto-rappresentazione-funzione di una cosa. È stato il filosofo Byung Chul-Han a sottolineare tuttavia che è proprio in relazione alla progressiva digitalizzazione della società che agli oggetti si sostituiscono le informazioni, ossia quell’insieme di elementi digitali che alla realtà fisica fa riferimento ma di cui è simulazione astratta o, talvolta, riduzione numerica. Scrive Han che lo spazio digitale è post-fattuale e che la sua comunicazione è dominata da impulsi ed emozioni forti le quali, al contrario di ciò che egli definisce come “prassi dell’oggetto” – cioè legata all’impegno, al cruccio e all’indugio – sono poco persistenti in termini temporali. Se nella cultura analogica la mano fa, in quella digitale il dito sceglie trasformando i soggetti in consumatori (o addirittura, in prodotti stessi, come nel caso delle app di dating o del personal branding).
Questa prospettiva lanciata da Han apre poi spazi di riflessione politica ed economica che Signorelli fa suoi nelle disamine del saggio. Addentrandosi in questo mondo di nubi e spettri il giornalista offre una carrellata di teorie che contaminano l’uso e il futuro delle tecnologie; dai discorsi dei tecnoentusiasti e del millenarismo digitale che vedono nella tecnologia una sorta di nuova religione, riversando nel futuro avveniristico (e quindi in teoria dominato da una tecnologica razionalità) le ombre irrazionali di un mondo premoderno, alle ideologie lungoterministe della Silicon Valley che giustificano logiche di discriminazione, ingiustizia sociale e speculazione economico-finanziaria in nome di un presunto destino cosmico dell’essere umano e di un altrettanto presunto rischio esistenziale da cui difendersi.
In questo pantano che fete di cospirazionismo ed estrema destra, sguazzano le Big Tech in un intreccio di attività che Signorelli individua come determinante nella creazione di questi simulacri digitali; il rapporto cioè tra nuove tecnologie, finanza e storytelling: «Una nuova tecnologia appare all’orizzonte portando con sé enormi potenzialità e mirabolanti promesse. Lo storytelling si mette all’opera per creare un racconto coinvolgente e credibile delle potenzialità socioeconomiche di queste tecnologie, facendo pensare che sia inevitabile o imminente un futuro che a volte è soltanto una possibilità remota. La finanza cavalca questi due eventi per mettere in moto un meccanismo speculativo».
Tentando di rispondere ad antichi bisogni umani, placando paure, incoraggiando desideri, il ruolo delle Big Tech nel dominio monopolistico dello spazio digitale veicola un numero ingente di investimenti e denaro attorno a sogni e illusioni, a quelle informazioni passeggere che Han individua come gli oggetti della nostra ricerca quotidiana («Ciò che conta è l’effetto di breve periodo. L’efficacia sostituisce la verità»). Così quello che era nato – e che poi è stato venduto – come strumento e spazio di libertà (il sogno utopico del primo Internet come spazio libero, di condivisione e produzione collettiva) si è mutato in una illusione della libertà. Se Han parla di una «libertà in punta di dita» con così tanti tasti da non poterli toccare tutti – qui, l’inganno –, anche Signorelli si chiede fino a che punto i sistemi e gli algoritmi che monitorano le nostre abitudini ci indirizzano verso comportamenti ritenuti più produttivi o utili al consumo, e quindi migliori, preimpostando binari dai quali non possiamo scartare.
Oltre alla capacità di districarsi in un itinerario confuso tanto quanto la materia che indaga e di prendere in considerazione una solida tradizione di pensiero (primo su tutti il non ancora citato Jean Baudrillard, dichiarato punto di riferimento del saggio), Signorelli ha il merito di volgere riflessioni e analisi sul piano politico e sociale. Lontano da posture catastrofiste, il giornalista ricorda come nelle tecnologie non ci sia nulla di deterministico ma molto di sociale, e che perciò nessun processo debba essere considerato come inevitabile. Per questo motivo la riflessione intorno alla tecnologia e alle ricadute che essa ha sul nostro mondo non può prescindere da un posizionamento situato, e da una prospettiva che scansando le magnifiche sorti progressive (fatte di grandi guadagni per poche persone) riconduca racconti, pratiche e teorie al piano di una realtà sociale e concreta. Continuando a «decostruire e smascherare le narrazioni fasulle sul futuro».