C’è un tempo per guardare indietro e uno per rilanciarsi. Tracey Emin lo sa bene e su un originale coincidenza di questi momenti e movimenti opposti – che inevitabilmente riguardano l’autobiografia, l’introspezione e l’esposizione – ha incentrato la sua ricerca artistica: e così, la sua prossima grande retrospettiva, A Second Life, che aprirà il 26 febbraio 2026 alla Tate Modern di Londra, promette di essere non solo la più ampia mostra mai dedicata da un’istituzione all’artista britannica ma anche un momento personale di bilancio e di rinascita. D’altra parte, la sua capacità di mettere in gioco se stessa, nel bene e nel male, ha trasformato la percezione del rapporto tra biografia e opera.
«Sento che questa mostra sarà un punto di riferimento per me. Un momento della mia vita in cui guarderò indietro e andrò avanti. Una vera celebrazione della vita», così Emin ha descritto la mostra alla Tate Modern, che attraverserà 40 anni di carriera scanditi da 90 opere, tra pittura, scultura, neon, video e installazioni, per ripercorrere le stagioni tumultuose e vitali della sua produzione.
Emin arriva a questo appuntamento in un momento particolarmente intenso: lo scorso anno era stata nominata Dama Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico «Per i servizi all’arte», mentre poche settimane fa ha chiuso con grande successo Sex and Solitude, la mostra a Palazzo Strozzi di Firenze, prima personale italiana di ampio respiro che, con 60 opere, ha ribadito la forza del suo linguaggio viscerale. E ora, sul palcoscenico della Tate Modern, museo che lei stessa definisce uno dei più importanti al mondo, salirà la parabola di un’artista che ha reinterpretato la vulnerabilità come punto di forza, la confessione come forma estetica.
Tracey Emin, My Bed, 1998. Foto: Christie’s
La mostra, che è realizzata in collaborazione con Gucci, inizierà con le opere esposte per la prima personale alla White Cube, insieme a una serie di piccole fotografie dei suoi dipinti risalenti al periodo di formazione, negli anni ’80, che l’artista aveva distrutto. La retrospettiva si articolerà quindi lungo due grandi traiettorie: la “prima vita”, che comprende gli anni Novanta, con le celebri installazioni divenute icone dell’epoca degli YBA – Young British Artist, come My Bed e Exorcism of the Last Painting I Ever Made, e la “seconda vita”, segnata dall’esperienza della malattia e della sopravvivenza.
Emin ha infatti raccontato con schiettezza la battaglia contro un tumore aggressivo, la lunga degenza, l’intervento chirurgico, le conseguenze fisiche con cui convive ogni giorno. Da quell’esperienza sono nati lavori recenti come il bronzo Ascension (2024), che affronta i temi della fragilità e della trascendenza, e un nuovo ciclo di dipinti e documentari che mettono in scena la sua condizione con un realismo crudele e poetico.
La mostra includerà opere mai esposte prima, come la quilt The Last of the Gold (2002), tessuto con un sorprendente «Alfabeto dell’aborto», pensato come manifesto di sorellanza e resistenza. Sarà presentato anche il documentario Why I Never Became a Dancer, che rievoca l’adolescenza a Margate, città oggi al centro della sua nuova vocazione educativa, con il suo spazio offerto gratuitamente agli studenti, per restituire ciò che lei stessa ha ricevuto.