di
Fernando Pellerano
Il decano dei librai bolognesi ricorda lo scrittore: «Venne a conoscermi in libreria, era un genio. Aveva relazioni strette solo con personaggi del suo calibro, non voleva perdere tempo. La sua regola era scrivere in autonomia»
Romano Montroni, con Stefano Benni lei ha condiviso diversi decenni di eventi e di incontri in Piazza di Porta Ravegnana, alla Feltrinelli di Bologna. Si ricorda la prima volta che conobbe lo scrittore?
«Venne a conoscermi in libreria, non ricordo bene se in occasione dell’uscita del suo primo libro o meno. Ricordo però che scoprii un animo geniale, davvero speciale. Mi colpì subito molto. Brillante, simpaticissimo».
Benni esordì con Mondadori, ma poco dopo divenne un autore di Feltrinelli: questo passaggio si deve a lei?
«No, io non c’entro. Semplicemente ascoltò alcuni suoi amici, accettò i loro suggerimenti, non so come lo convinsero».
Negli anni 70 lei era già un superdirettore, lui era un autore emergente: che tipo di rapporto si creò fra voi?
«Instaurammo una comunicazione molto intima. Stefano mi chiedeva qualsiasi cosa e io ero sempre ben disposto a dare tutte le mie interpretazioni. È stata una persona speciale, veramente un grande genio».
Parlavate anche di editoria, di scrittura?
«Sì ma non mi chiedeva alcun consiglio di scrittura, questo mai. Figuriamoci se potevo mettermi al suo livello. Però per il resto gli parlavo schiettamente, insistevo sul fatto che si facesse conoscere per il suo talento, la sua particolarità proprio perché si distingueva dagli altri autori».
In Feltrinelli animava gli incontri.
«Era uno di casa, con noi si trovava a suo agio, aveva un rapporto con i lettori piacevolissimo, dialogava, sorrideva».
Ed ebbe relazioni strette anche con altri autori della casa editrice, da Pennac a Tabucchi.
«Sì, ma mirati. Solo con personaggi del suo calibro. Diciamo che non voleva perdere tempo, Stefano era molto concreto, andava al punto. Ogni cosa che faceva aveva un fine preciso per lui».
Non solo libri e romanzi, ma testi per il teatro e la tv.
«Scriveva per chi glielo chiedeva ma con una regola precisa: doveva avere il massimo dell’autonomia».
Tanti incontri anche a casa sua, una sorta di cenacolo letterario e non solo.
«Stefano era sempre al mio tavolo. Finché è stato possibile averlo l’ho sempre invitato a casa, poi a un certo punto si è defilato e ormai da parecchio tempo era fuori pista».
Aveva un suo posto fisso?
«Lo mettevo capotavola, sempre. Poi piano piano le ragazze si avvicinavano, da sole. Aveva fascino e aveva una certa passione, sì…»
L’ultima volta che l’ha visto?
«Non so… So solo che suo fratello Andrea, che lo ha seguito in questi anni, mi chiese di non andarlo a trovare, “Romano ricordatelo come era”».
E se, disobbedendo, ci fosse andato?
«Non gli avrei detto niente, l’avrei semplicemente abbracciato, affettuosamente, forte. Niente parole, lui sentiva i gesti».
A marzo prossimo il suo Bar Sport compirà 50 anni.
«Bellissimo, gli faremo una grande festa, se la merita».
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10 settembre 2025 ( modifica il 10 settembre 2025 | 18:22)
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