Vincenzo Lombardo
11 settembre 2025 07:40
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Il Servizio Sanitario Nazionale, un tempo vanto repubblicano, oggi gira a vuoto. La domanda cresce, l’offerta crolla. Nel 2025, quasi un italiano su quattro ha più di 65 anni, gli ultraottantenni sono oltre 4,5 milioni. E mentre la popolazione invecchia, le liste d’attesa si allungano: fino a 9 mesi per una visita, un anno per una risonanza. Chi può, paga. Il privato prospera. Il pubblico si arrangia con i gettonisti: medici pagati anche 100 euro l’ora, senza continuità né controllo. Una toppa d’oro su una ferita aperta.
Dal 31 luglio 2025, lo Stato ha detto basta: stop ai nuovi contratti, validi solo i vecchi. Il problema? Non c’è un piano B. Le ASL arrancano, i concorsi vanno deserti, il personale strutturato non basta. Il rischio è che il paziente — il sistema — muoia per mancanza di cure. Intanto il Fondo Sanitario tocca i 136,5 miliardi, ma la crescita è solo nominale. Le risorse non coprono una domanda trainata da un’Italia sempre più anziana. E i bilanci regionali assomigliano a cartelle cliniche piene di “codici rossi”.
In Sicilia, il quadro è ancora più critico. La Regione riceve circa il 7% del Fondo Sanitario, ma ha una delle popolazioni più fragili del Paese. Le liste d’attesa sono tra le più lunghe, i gettonisti arrivano al 60% in alcuni ospedali. L’ASP di Messina subirà un taglio di 75 posti letto, il più pesante dell’isola. Reparti come Gastroenterologia e Medicina sono stati trasferiti da Milazzo a Barcellona per lavori, ma il personale non basta. E ora la beffa: i 91 milioni destinati al Piemonte–Neurolesi dal 2016 vagano tra carte bollate e rinvii, come turisti smarriti in un labirinto. L’ospedale rimane immobile, trascurato, mentre la burocrazia passeggia placida, compiaciuta del proprio insuccesso perfettamente orchestrato.
Nel 1601, Shakespeare, in “Molto rumore per nulla”, ambientato a Messina, fa dire a Benedick, nobile della città, che “la malattia non è mai senza compagnia”. Oggi anche la sanità pubblica italiana una compagnia ce l’ha, e non certo una delle più lievi: il debito. Non è la medicina a scarseggiare, ma il bilancio; e mentre sindacati e cittadini si mobilitano per difendere il Piemonte–Neurolesi dall’ennesimo scippo, il paziente resta in barella. Come Amleto, si chiede “curarsi o non curarsi”. Ma qui il dilemma non è filosofico: è contabile. E, sempre più spesso, anche politico.