PADOVA – La sua lunga carriera diplomatica l’ha portato in tutto il mondo: dalla Nuova Zelanda a Cipro, dall’Iraq al Regno Unito. Oggi Massimo Carnelos è il console generale di San Francisco e la scorsa settimana ha dovuto fare due telefonate che nessuno vorrebbe fare mai. È stato lui a mettersi in contatto con i genitori di Riccardo Pozzobon, il quarantenne ricercatore padovano disperso in Alaska dopo essere stato inghiottito dal ghiacciaio Mendenhall. Fin da subito si è relazionato con i soccorritori americani e ora è in grado di ricostruire l’intero quadro della tragedia. Dalle sue parole emergono soprattutto due concetti. Il primo: in quella zona c’erano già stati molti altri incidenti. Il secondo: per ritrovare il corpo di Pozzobon potrebbe essere necessaria una ritirata del ghiacciaio e potrebbero volerci chissà quanti anni.
APPROFONDIMENTI
Console, partiamo da quel martedì 2 settembre. Il giorno della tragedia.
«I due ricercatori che stavano compiendo la spedizione assieme a Pozzobon hanno subito dato l’allarme ai soccorritori locali e poi è stato allertato il console onorario ad Anchorage, un privato cittadino che ci copre il territorio. E’ stato lui ad avvertire il nostro consolato di San Francisco, che ha competenza sull’Alaska».
Dalle relazioni che abbiamo letto emerge che Pozzobon è scivolato in un corso di acque di fusione del ghiacciaio ed è stato trascinato via finendo risucchiato in un cosiddetto “inghiottitoio”. La sua trappola sarebbe stata una buca larga 60 centimetri e colma di acqua in piena. Lei ha capito qualcosa in più?
«Il nostro connazionale è scivolato per una tragica fatalità. C’è chi dice che sia inciampato su un rampone e chi dice che stava riempiendo una borraccia. La verità possono conoscerla solo i colleghi che erano con lui e che sicuramente sono stati sentiti dalle autorità dell’Alaska. Io posso dire che era una persona esperta. Era equipaggiato e di questi ambienti ne frequentava molti. Solitamente incidenti di questo tipo capitano a turisti inesperti che magari si muovono senza guida».
Gli incidenti in quel ghiacciaio sono frequenti?
«Si, ci hanno riferito che in questo parco naturale le tragedie sono frequenti e i team di salvataggio hanno molto lavoro da fare. Le ricerche sono durate tre giorni, ma poi purtroppo è stato necessario sospenderle».
Per quale motivo?
«Anzitutto si reputava che il ricercatore fosse deceduto. E poi in ogni caso entrare nell’inghiottitoio per il recupero del corpo avrebbe messo a repentaglio anche altre vite. Bisognerebbe capire quanto è profondo il ghiaccio nei vari punti. Faccio degli esempi: può essere 20, 80 o 150 metri. Il ghiacciaio non è una massa compatta. Al suo interno è fatto di fratture, rivoli e fiumiciattoli. E’ una massa molto composta ed è per questo che poi viene studiata».
Il corpo potrebbe non essere mai ritrovato?
«Mi hanno spiegato che ci sono tante ipotesi. Potrebbe riemergere tra dieci anni se il ghiacciaio si ritrae, potrebbe essere spostato e fatto riemergere da qualche fiume sotterraneo. Chissà dove sta: quell’inghiottitoio non termina in un punto preciso ma si incunea in altri fiumi sotterranei. Impossibile avere certezze. Nella mia seconda telefonata ai genitori di Riccardo ho spiegato questo aspetto e ho chiarito il motivo per cui le ricerche sono state sospese».
La famiglia Pozzobon le ha detto qualcosa di particolare sulla missione del figlio?
«I genitori sono sconvolti, faticavano anche a parlare ed è comprensibile. Ci hanno ringraziato per l’assistenza, ma è il minimo che possiamo fare. Mi metto nei loro panni, sono padre anche io. Se mi arrivasse una notizia così ferale non so come reagirei…».
Dal punto di vista formale considerate la vicenda conclusa?
«Il mancato ritrovamento del corpo fa sì che il fascicolo resti aperto. Dal punto di vista legale si tratta di una persona scomparsa. Le autorità dell’Alaska ci faranno pervenire un rapporto circostanziato sull’accaduto, una sorta di relazione conclusiva che poi noi manderemo in Italia. Non so quanto tempo ci vorrà, ci hanno detto che si prendono del tempo. Intanto abbiamo informato anche la Farnesina a l’ambasciata italiana a Washington. Siamo a totale disposizione della famiglia».