In questi giorni, passeggiando per le strade di Torino è facile che l’attenzione venga attratta da alcuni manifesti, come quelli pubblicitari, con volti e corpi maschili sconosciuti esposti senza filtri. In molti si sono chiesti di cosa si trattasse, ma la risposta è arrivata facilmente dall’inequivocabile hashtag scritto sopra: #MioMarito. Chiaramente, non si tratta di pubblicità, né di marketing. È arte, quel genere che diventa denuncia, specchio che riflette una realtà scomoda che fino a poche settimane molti e, soprattutto, molte di noi ignoravano.

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“MiaMoglie”, lo scandalo che ha scosso l’Italia

Per settimane, oltre 32.000 uomini italiani si sono riuniti nel gruppo Facebook chiamato “Mia Moglie”, dedicato alla condivisione di foto private non consensuali delle mogli o partner degli utenti. Un fenomeno che ha dell’incredibile per la sua vastità e normalizzazione: al suo interno venivano pubblicate quotidianamente foto di donne in intimo o nude, nei confronti delle quali, gli altri utenti erano incoraggiati a commentare. La scoperta di questo gruppo ha provocato un’ondata di indignazione che si è tradotta in oltre mille denunce presentate alla Polizia Postale, portando infine alla rimozione del gruppo dalla piattaforma. Ma il danno era fatto: migliaia di donne erano state esposte, commentate, giudicate senza saperne nulla.

“MioMarito”, la risposta artistica che fa riflettere

Ed è qui che entra in scena Andrea Villa, street artist torinese che non è nuovo a provocazioni dal forte impatto sociale. I suoi manifesti “Mio Marito” sono apparsi in Lungo Dora Siena 108 e Corso Regina Margherita 50, ma il loro messaggio risuona ben oltre i confini della città. Si tratta di una serie di manifesti che ribalta lo sguardo patriarcale alla base di spazi come il gruppo “Mia moglie”. In questo lavoro, «i protagonisti diventano loro», spiega Villa sui suoi social.

Migliaia di donne violate nella loro intimità dal gruppo “Mia Moglie” trovano una forma di giustizia artistica (@instagram)

Il rovesciamento delle parti

L’operazione artistica di Villa è tanto semplice quanto geniale nella sua provocazione: i “guardoni” della pagina “Mia moglie” sbattuti in mutande sui manifesti affissi nel centro di Torino senza il loro consenso: esattamente quello che loro hanno fatto alle loro compagne. L’artista ha preso i volti degli uomini che partecipavano a questi gruppi e li ha esposti nello spazio pubblico, rielaborandoli artisticamente ma mantenendo l’impatto visivo. Il messaggio è chiaro: come ci si sente ad essere oggettificati senza consenso?

“MioMarito”, oltre la provocazione

Quello che colpisce di questa storia, non è solo l’audacia artistica, ma la necessità che l’ha generata. Molte donne, in questo momento, stanno ancora scoprendo di essere finite in questi gruppi. Altre stanno affrontando le conseguenze di una violazione così intima e pubblica. Il progetto “Mio Marito” non è solo arte urbana: è un esercizio di empatia forzata, un modo per far provare agli uomini cosa significa essere ridotti a oggetto di sguardi non richiesti. Intende essere un’operazione che mette a nudo i doppi standard con cui viviamo quotidianamente.

Il dibattito divide

La reazione è arrivata rapidamente e si diffusa viralmente sui social con due fazioni: c’è chi grida alla violazione della privacy e chi parla di vendetta artistica e chi, invece, applaude al coraggio di aver reso visibile un problema spesso ignorato. Ma forse è proprio questo il punto: fino a quando non siamo noi al centro dell’attenzione non richiesta, non riusciamo davvero a comprendere cosa significa essere invasi nella propria intimità.

Una riflessione necessaria

Il fenomeno del revenge porn e della condivisione non consensuale di immagini intime non è nuovo, ma la sua normalizzazione all’interno di gruppi così numerosi, dice qualcosa di profondo sulla nostra società. Dice quanto ancora sia radicata l’idea che il corpo femminile sia in qualche modo “pubblico”, disponibile al giudizio e al consumo altrui. L’iniziativa di Andrea Villa costringe, invece, a guardare questa realtà da un altro punto di vista.

Il messaggio che resta

Mentre i manifesti di “Mio Marito” continuano a far parlare le strade di Torino e i social, il vero successo di questa operazione sta nel dialogo che ha generato. Non importa se si è d’accordo o meno con i metodi: l’importante è che finalmente si parli di un problema che troppo spesso viene minimizzato o ignorato. Perché forse, alla fine, questo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno: uno specchio che ci mostri quanto ancora dobbiamo imparare sul rispetto e, soprattutto, sul consenso.