Bloquons tout, blocchiamo tutto. Sono le nuove parole d’ordine in arrivo dalla Francia, stomaco delicatissimo dell’Europa. Bloccare tutto — i binari, le strade, le scuole, gli ospedali — impedire alla giostra del sistema di girare. Non è un programma di governo, ma un urlo di dolore. Radicale e generico, come lo strumento che lo alimenta, il web, e le persone che lo cavalcano, mediamente più giovani e istruite dei «gilet gialli» del passato. Una sorta di super-mega «vaffa» contro Macron e le élite europee al potere, che da quando hanno finito i soldi per lo Stato Sociale (o li hanno dirottati altrove) non riescono più a garantirsi il consenso di chi le vive come un’entità fredda e lontana, quando non addirittura ostile.

Sarebbe però un errore interpretare questo malessere cupo come una richiesta di meno politica e meno democrazia. Chi blocca tutto vorrebbe, sia pure confusamente, una politica più forte, capace di governare i nuovi fenomeni anziché farsene dominare. Invece è proprio questo che sta succedendo un po’ ovunque: dalla finanza ai migranti, dalla transizione ecologica all’intelligenza artificiale. Le novità sono digeribili solo quando sono graduali, altrimenti vengono vissute come un incubo e rigettate in blocco: bloccando tutto, appunto. E a beneficiare di questo clima non sono mai i veri riformisti. Sono i tribuni spregiudicati alla Mélenchon, che non vogliono aiutare il popolo, ma soltanto usarlo per abbattere le élite e prenderne il posto.



















































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11 settembre 2025, 06:56 – modifica il 11 settembre 2025 | 08:21