Conservatori contro Giacobini, continuità e autorevolezza amministrativa contro rivoluzione “dal basso”. È subito politica quando le elezioni di categoria si intrecciano con la cronaca. Si sta votando in questi giorni per rinnovare il Consiglio dell’Ordine degli architetti e mai come questa volta, con le inchieste della Procura sull’urbanistica che vedono diversi professionisti indagati, c’è dibattito interno.

Gli incontri sul tema della legalità e delle regole in questi ultimi mesi sono stati diversi, e ora che si tratta di scegliere i 15 consiglieri, presidente compreso, la questione è al centro dei programmi. I candidati sono 55: trenta di questi sono divisi in due liste da 15 componenti ciascuna, gli altri 25 corrono da soli o combinati in piccoli gruppetti.

La lista più di continuità si chiama “Oamiè” e la candidata presidente è l’attuale tesoriera Francesca Scotti: “Concretezza e rinnovamento” è lo slogan. Nel programma si legge: «In situazioni delicate come queste (il terremoto dell’Urbanistica, ndr) la prima virtù è la lucidità: comprendere a fondo i fatti, senza giudizi affrettati, lasciando agli organi competenti il compito di fare chiarezza. Ma ciò non toglie che sia ormai evidente l’urgenza di un profondo rinnovamento, da troppo tempo atteso. Un rinnovamento che valorizzi quanto di positivo è stato costruito». Senza, dunque, “cancellare il passato”.

Tradotto in candidature: dieci new entry in lista e cinque uscenti. Per gli avversari questa è la lista dei poteri forti: nessun grande studio che si espone in prima persona, ma tanti big — quelli dei grossi cantieri in città — che portano voti. “Ci dipingono come il male assoluto — sorride Paolo Maria Mistrangelo, uno dei candidati — ma non è così. Io credo nell’esperienza e nell’autorevolezza di chi è in corsa con me”. E spiega: “Quando c’è qualcosa che non va si dà la colpa all’Ordine, ma non c’è tutto questo potere”. Mistrangelo è il papà del portale “Pgt online”, uno strumento abbatti-burocrazia che mette a disposizione degli architetti le regole urbanistiche di mezza Lombardia. “La tecnologia è il mio pallino”. Lo scorso giro si era candidato con “Architetti Metropolitani”, la stessa lista che oggi si presenta come il nuovo che avanza. Come l’alternativa. “Poi molti hanno abbandonato quella squadra”, spiega.

Tra coloro che si definiscono «gli oppositori», 15 componenti con Jacopo Muzio come aspirante presidente, c’è Nicola Brembilla, quarantaseienne bergamasco: “Noi veniamo tutti da studi più piccoli e siamo fuori dai grandi interessi immobiliari della città, puntiamo su passione, competenza e sull’attenzione ai territori. E soprattutto vogliamo che l’Ordine torni a fare il suo mestiere, cioè controllare”. Parola d’ordine: radere al suolo l’attuale sistema. Anche qui, il programma parla per tutti. Soprattutto il primo paragrafo, “Responsabilità Etica Pubblica”: “Il nuovo Consiglio dell’Ordine dovrà prioritariamente orientare la propria azione verso la sistematica riduzione di ogni forma di conflitto di interessi, sia nei rapporti con enti e istituzioni esterni, sia nel funzionamento interno dell’ente, garantendo accessibilità e supporto a tutti gli iscritti”. E ancora: “È necessario un cambio radicale di paradigma, per restituire all’Ordine il proprio ruolo di garante dell’etica e della qualità professionale nell’interesse pubblico, attraverso principi chiari di trasparenza, legalità e qualificazione tecnica, affinché si possa ricostruire, su basi solide, la fiducia degli iscritti e della società civile”.

A sfogliare l’elenco dei candidati è difficile trovare nomi conosciuti fuori dal settore, ma tra gli aspiranti consiglieri ci sono architetti che lavorano nei Comuni dell’hinterland, ci sono professionisti che hanno rapporti con la pubblica amministrazione o ex componenti della commissione Paesaggio metropolitana. “Io spero che siano valorizzati i singoli nomi più che la contrapposizione tra liste”, spiega il presidente uscente Federico Aldini, che ammette: “Sicuramente il tema delle inchieste in corso è un nodo importante che non si può ignorare”. Alla fine, racconta disilluso chi ha deciso di restare fuori dalla partita, “non cambierà nulla”. Andrea Bonessa, che di battaglie per la città ne ha fatte parecchie, anche come portavoce dei Verdi, per la prima volta in oltre vent’anni non voterà: “Fino a che non si riporterà l’Ordine alle sue vere funzioni, che non sono quelle di un sindacato ma di un ente pubblico a tutela dei cittadini, io non voterò più. Non c’è volontà di cambiamento che tenga se la cornice resta questa”.