I ricercatori avevano anzitutto utilizzato la risonanza magnetica funzionale per mappare le aree cerebrali legate alla depressione, scoprendo che la rete della salienza del paziente, responsabile dell’elaborazione degli stimoli esterni, era circa quattro volte più grande rispetto a quella di persone senza disturbo. Successivamente hanno impiantato chirurgicamente quattro gruppi di elettrodi lungo i confini di queste reti e, pochi giorni dopo, hanno iniziato a inviare segnali elettrici in ciascuna di esse separatamente.

Da allora sono trascorsi due anni – lo studio, il cui primo autore è Ziad Nahas, è stato pubblicato all’inizio dello scorso agosto – e numerosi pattern di stimolazione, prima frequentissimi poi più distanti nel tempo, e la sua nuova condizione sembrerebbe essersi mantenuta stabile. L’uomo ha raccontato di aver riscoperto momenti semplici e preziosi, come un viaggio in auto con la famiglia in cui, per la prima volta dopo tanto tempo, è riuscito a sentirsi davvero sereno e presente.

Questa tecnica, battezzata PACE, non è naturalmente ancora disponibile su larga scala: finora è stata testata solo in questo caso, anche se altri pazienti sono già stati coinvolti in nuove sperimentazioni. Per i ricercatori l’obiettivo è dimostrare che non si tratta di un evento isolato ma di un approccio capace di aprire possibilità concrete per chi soffre di depressione grave e cronica. «L’unicità di PACE sta nel combinare un intervento molto preciso e personalizzato su più reti cerebrali, regolando i parametri in modo che il paziente possa ottenere il massimo beneficio», ha spiegato il primo autore.

Se la ricerca confermerà i risultati, potrebbe dunque trattarsi di una delle più importanti innovazioni degli ultimi anni nella cura della salute mentale, restituendo speranza a chi, finora, non aveva mai avuto alternative.

FONTI SCIENTIFICHE CITATE IN QUESTO ARTICOLO:

Personalized Adaptive Cortical Electro-stimulation (PACE) in Treatment-Resistant Depression