Secondo gli esperti, ci auto-sabotiamo proprio nei momenti in cui potremmo dare il meglio: di fronte a un’opportunità, scatta un freno interno che ci porta a evitare, procrastinare, rinunciare.
«All’origine ci sono convinzioni limitanti, pensieri profondamente radicati che ci sembrano verità assolute», raccontano Da Col e Pancia. «Ma in realtà sono bug mentali, come un’app che lavora in background e consuma energie, condizionando le nostre decisioni».
Da qui la creazione del metodo Sblocca-Mente: partendo da tre semplici domande di osservazione di se stessi, i due esperti sono arrivati a individuare i 6 ostacoli principali di auto-sabotaggio e dei semplici esercizi da svolgere quotidianamente per sbloccare non solo la mente, ma anche l’anima. Prima di rivelarveli, abbiamo approfondito con i due «Alessandri», come si propongono sui loro profili social.
Nei vostri interventi parlate di un «loop devastante» di emozioni negative e auto-sabotaggio interiore. Come si fa, praticamente, a interrompere questo circolo vizioso?
Alessandro Pancia (AP): «Anzitutto, facciamo chiarezza su un punto: le cosiddette emozioni negative non sono nemiche da combattere. Sono dati. Sono segnali biologici che ci informano di un disallineamento tra i nostri obiettivi e le nostre azioni, o tra la nostra percezione di una sfida e le risorse che pensiamo di avere. Il loop è un processo neurologico ben preciso. È un circuito che si auto-rinforza secondo il principio di Hebb: “neuroni che si attivano insieme, si legano insieme”. Un errore (input) innesca un pensiero disfunzionale come “ecco, sbaglio sempre” (processo), che genera un’emozione di sfiducia (output), la quale, a sua volta, convalida il pensiero iniziale. Il cervello, per un principio di economia energetica, rende questo percorso preferenziale e automatico. Per interromperlo, la forza di volontà non è la strategia più efficace, perché tenta di opporre resistenza a un processo neurologico consolidato. Serve invece un protocollo di interruzione di pattern. Ecco tre passaggi fondamentali:
- Primo: riconoscimento e distanziamento
Nel momento in cui percepisci l’avvio del loop, il primo passo è osservarlo senza giudizio e nominarlo: “Ok, sto attivando lo schema dell’auto-sabotaggio”. Questo semplice atto di mindfulness, chiamato affect labeling, sposta l’attività cerebrale dalle aree reattive come l’amigdala alla corteccia prefrontale, la nostra sede di controllo esecutivo. È il passaggio da essere la tempesta a essere colui che osserva la tempesta. - Secondo: reset fisiologico
Mente e corpo sono un sistema integrato e bidirezionale. È difficile cambiare un pensiero se la nostra fisiologia è in modalità allarme. Per questo è cruciale un reset fisico: cambia postura, raddrizza le spalle, fai tre respiri lenti e profondi (con un’espirazione più lunga dell’inspirazione) per attivare la risposta parasimpatica. Non è una tecnica di rilassamento, è un intervento biochimico per comunicare al sistema nervoso che la minaccia percepita non è reale. - Terzo: domanda di riorientamento
Il nostro cervello è una macchina che risponde a domande. Una domanda come “Perché capita sempre a me?” lo orienta a cercare prove a conferma del problema, attivando la ruminazione. Dobbiamo porre una domanda che attivi invece le aree del problem-solving: “Qual è la più piccola azione concreta che posso compiere adesso per migliorare la situazione dell’1%?”. La domanda deve essere precisa, orientata all’azione e focalizzata su un progresso minimo, per renderla gestibile e non intimidatoria».