«Quello che allarma è che ci muoviamo su un crinale per cui, anche senza volerlo, si può scivolare in un baratro di violenza incontrollabile».
Parlando a Lubiana, Sergio Mattarella si riferiva ai due choc delle ore precedenti, i droni russi che hanno violato i cieli polacchi, quindi di tutti noi occidentali, e l’attacco israeliano che martedì ha violato la sovranità del Qatar per colpire Hamas.
Il presidente della Repubblica ha sottolineato quanto l’escalation di simili episodi gli ricordi quella che portò allo scoppio della Prima guerra mondiale. Il premier polacco Donald Tusk, da parte sua, ha evocato esplicitamente il rischio della Terza.
Di buono, in questo contesto drammatico, c’è il sussulto dell’Europa, nelle sue multiformi vesti, che sembrano una delle sue debolezze ma sono la sua (mal sfruttata) forza.
Nella sua componente atlantica, l’Europa ha reagito prontamente ai droni russi con aerei olandesi, e anche uno italiano, a difesa del suolo polacco. Nella sua dimensione istituzionale, è stata per una volta Ursula von der Leyen a incarnare questo spirito, nel suo miglior discorso sullo Stato dell’Unione. La presidente della Commissione europea ha assicurato che l’Europa «difenderà ogni centimetro del suo territorio», ma senza glissare sui limiti auto-inflitti che ostacolano un impegno così vitale: «Credo che sia necessario passare alla maggioranza qualificata in alcuni settori, ad esempio in politica estera. È ora di liberarsi dalle catene dell’unanimità».
Come quella che, per esempio, impedisce una condanna seria delle condotte di Israele. Ma von der Leyen ha in qualche modo svoltato anche su questo punto, sostenendo la sospensione dei programmi di collaborazione con il governo dello Stato ebraico, impedita proprio dai veti di alcuni Paesi, e annunciando sanzioni ai ministri estremisti e ai coloni violenti con parole molto chiare:
«Ciò che sta accadendo a Gaza ha scosso la coscienza del mondo. Persone uccise mentre mendicavano cibo. Madri che tengono in braccio bambini senza vita. Queste sono immagini semplicemente catastrofiche, di fronte alle quali l’Europa non può permettersi di restare paralizzata».
E poi, in questa newsletter, le convulsioni italiane sulle spese militari, le proteste in Francia e altre cose che vale forse la pena leggere e sapere oggi.
Benvenuti alla Prima Ora di giovedì 11 settembre, che comincia però con un devastante omicidio politico avvenuto negli Stati Uniti mentre in Italia era notte.
Ucciso Charlie Kirk, choc in America

Charlie Kirk con la moglie e i figli
Una morte che non farà che aumentare la tensione in un Paese già ultra-diviso. Charlie Kirk, 31 anni, era un attivista conservatore molto vicino a Trump e leader di Turning Point, movimento di destra da lui fondato nel 2012, quando aveva solo 18 anni, e che oggi ha 250 mila iscritti.
Il più amato (e detestato) influencer del movimento Maga (Make America Great Again, lo slogan del trumpismo) stava partecipando a un incontro con gli studenti nel campus dell’università dello Utah quando un proiettile esploso da una distanza di 180 metri lo ha raggiunto al collo mentre rispondeva a una domanda sui transgender, uno dei suoi classici obiettivi polemici: è morto poco dopo in ospedale. L’Fbi ha prima arrestato e poi rilasciato un sospetto (trovate tutti gli aggiornamenti sul nostro sito).
L’eco dell’omicidio è (e sarà a lungo) enorme, con condanne da ogni fronte della politica che difficilmente spegneranno un fuoco che rischia anzi di divampare mentre il presidente già si preparava a militarizzare le grandi città. «Un grand’uomo… Dio lo benedica», ha scritto Trump.
«Il suo omicidio è un momento sismico nella politica americana», commenta Viviana Mazza. La nostra corrispondente ricorda così il suo incontro con Kirk alla Convention repubblicana, l’anno scorso:
«Kirk disse al Corriere che i repubblicani avevano finalmente trovato i loro Kennedy. “Questa è l’elezione di TikTok e dei podcast – ci disse -. E penso che i conservatori siano più avanti, i democratici si sono addormentati al volante pensando che tutti seguano Cnn”. Kirk ci disse anche: “Cerco di essere più provocatorio possibile perché la cosa che mi preoccupa di più è quando la gente è d’accordo con noi ma resta a casa e non va a votare”. I critici usavano quella parola, provocatorio. I sostenitori ammiravano la sua capacità di dibattere con tutti ai suoi eventi nei college, come quello di ieri in Utah, che prevedevano un incontro intitolato “Prova che ho torto” (Prove me wrong) in cui invitava i partecipanti a contraddirlo, su temi come immigrazione e aborto. Partecipavano studenti di sinistra e di destra: dibattiti con milioni di visualizzazioni su TikTok. Ma era stato minacciato, e aveva la scorta. Oltre 6.800 persone avevano firmato una petizione su change.org cercando di evitare che Kirk parlasse in quell’ateneo in Utah».
I primi commenti sulla stampa Usa:
«Come Kirk ha cambiato i media conservatori e la politica americana» (Cnn).
«Una delle voci più importanti – e controverse – dell’era Trump» (Washington Post)

I droni di Mosca, la reazione occidentale, cosa vuole Putin (e le nostre debolezze): punto per punto.
- Cosa è successo Tra mezzanotte e l’alba di ieri, la Polonia ha subito l’attacco di 19 droni russi lanciati in parte dalla Bielorussia. Nessuna vittima, ma una palazzina di un villaggio è stata colpita. I droni sono caduti o – in 4 casi – sono stati abbattuti perché, ha detto il premier polacco, «rappresentavano una minaccia diretta».
- La reazione militare Non è la prima volta, in questi anni, che i droni russi sconfinano nello spazio aereo polacco, e in passato ci sono state anche due vittime. Ma stavolta la reazione è stata immediata e molto articolata: all’azione hanno preso parte F16 polacchi, F35 olandesi e anche un Awacs italiano specializzato nelle ricognizioni, insieme a voli Nato di rifornimento e radar tedeschi.
- La reazione politica Anche su questo piano la risposta è stata forte. La Polonia ha subito invocato l’articolo 4 della Nato, che fa scattare consultazioni tra gli alleati per decidere le azioni da intraprendere (mentre l’articolo 5 prevede l’intervento comune in caso di aggressione diretta). Il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ha parlato di «attacco senza precedenti non solo sul territorio polacco, ma anche su quello della Nato».
- E i russi? La risposta di Mosca, affidata al ministero della Difesa, ha puntato a fare intendere che da parte di Varsavia ci sia stata una voluta esagerazione: «Non erano stati pianificati obiettivi da distruggere sul territorio polacco… Questi fatti concreti sfatano completamente i miti ancora una volta propagati dalla Polonia per un’ulteriore escalation della crisi ucraina».
- Tra cautela e allarme Di certo, l’iniziale prudenza, soprattutto spagnola, nell’attribuire intenzioni aggressive alla Russia è stata superata dall’adesione di tutti i Paesi maggiori all’allarme polacco. «Putin ha raggiunto un nuovo livello di ostilità nei confronti dell’Europa» ha detto il ministro britannico John Healey, e anche la Germania ha subito sottoscritto la tesi della provocazione deliberata, sostenuta dai Paesi baltici e, ovviamente, dall’Ucraina. Il segretario generale della Nato Mark Rutte, racconta Giuseppe Sarcina, ha detto ai partner che «l’incursione russa dimostra quanto sia urgente continuare gli sforzi per sostenere la resistenza ucraina; la differenza tra Paesi che si stanno impegnando e quelli che stanno facendo poco o niente sta diventando “inaccettabile”».
- E l’Italia? L’Italia si è allineata, con frasi molto nette di Guido Crosetto: «La Russia è in guerra ibrida anche con noi», ha detto il ministro della Difesa, che pure aveva espresso dubbi sulle reali intenzioni di Mosca quando, a fine agosto, l’aereo di Ursula von der Layen fu costretto a un atterraggio di emergenza dall’accecamento del suo Gps. Crosetto, ribadendo l’indisponibilità all’invio di truppe in Ucraina, ha sottolineato l’impegno italiano contro «gli attacchi hacker» e «la guerra all’informazione» condotti da Mosca: attacchi «alle nostre democrazie non diversi» da quelli militari di cui «vediamo evidenza ogni giorno contro l’Ucraina».
Ma qual è il senso vero di questo attacco?
Proviamo a capirlo con le risposte a tre domande.
- 1) A cosa punta Putin? Con provocazioni come queste, l’autocrate russo ha essenzialmente due obiettivi: da una parte testare le difese occidentali – i loro automatismi, la loro efficacia, la loro capacità di calibrare la risposta all’entità della minaccia – , e dall’altra mettere alla prova la nostra compattezza. Quella fra europei, e quella fra europei e americani.
Per Danilo Taino, più che di una provocazione si tratta di un vero avvertimento:
«Putin si sente forte e alza il tiro, minaccia l’Unione europea con l’obiettivo di metterla sotto pressione, di misurarne la volontà di reazione e di mobilitare a suo favore le forze amiche che sa di avere nel Vecchio Continente. Pensa probabilmente che sia arrivato il momento di sfiancare definitivamente un’Europa che disprezza e ritiene inerme. Un nuovo passo estremamente aggressivo».
Per l’analista americana Anne Applebaum, intervistata da Lorenzo Cremonesi, «il presidente russo lavora per dividere gli europei al loro interno e soprattutto per alzare muri tra Bruxelles e Washington. Un nemico poco uniforme è debole, scoraggiato, facile da demotivare. La stessa Polonia è un Paese molto polarizzato e Putin probabilmente tenta anche di influenzare politicamente a suo favore una parte dell’opinione pubblica interna. L’obiettivo è divide et impera: occorre rompere, frazionare il campo alleato per convincere gli ucraini alla resa».
- 2) E Trump come si pone? L’inaffidabilità di quello che dovrebbe essere il leader dell’Occidente è ormai acclarata. Non l’ha attenuata il suo unico post di commento – «Perché la Russia viola lo spazio aereo polacco con i droni? Eccoci qui!» – mentre gli europei hanno accolto con sollievo le frasi dell’ambasciatore Usa presso la Nato, Matthew Whitaker: «Restiamo al fianco degli alleati di fronte a queste violazioni dello spazio aereo, e difenderemo ogni centimetro del territorio Nato».
Ma resta il fatto che, se c’è una cosa chiara di questi primi 9 mesi del Trump bis, è la fine del sostegno incondizionato all’Ucraina e una tendenza all’appeasement nei confronti di Putin che ha spesso sfiorato la complicità.
Oltretutto, nella sua ambiguità Trump dissemina trappole. Per esempio, sta chiedendo agli europei di imporre dazi del 100% a Cina e India se non smettono di importare petrolio russo, cosa che esporrebbe l’Ue a nuove guerre commerciali devastanti, dopo quella scatenata da lui.
Perché lo fa? Perché, risponde Federico Fubini, «la sua priorità in questa fase è di arruolare i governi dell’Ue dalla propria parte nella sua rivalità, personale e nazionale, con la superpotenza asiatica. A Trump interessa che l’Europa aiuti l’America a frenare l’ascesa della Cina, non a fermare la guerra di Putin». Se l’Europa dirà no, com’è ovvio, Trump avrà una scusa in più per abbandonare l’Ucraina, dicendo che sono gli europei a non aiutarla rifiutando di sanzionare Cina e India. Quando invece avrebbe un modo semplice per colpire il petrolio russo: abbassare da 60 a 45 dollari al barile il tetto al quale gli importatori possono comprarlo senza esporsi a sanzioni. Ma a questa proposta europea dice no.
- 3) Ma alla fine, la risposta di ieri ha funzionato? Sul piano politico sì. Perché gli europei hanno mostrato compattezza e anche la Polonia, divisa tra un premier europeista e un presidente trumpiano, ha ritrovato una certa unità.
Sul piano militare, invece, sono venute fuori le incongruenze, ben spiegate (sul Financial Times) da Ben Hodges, ex comandante delle forze Usa in Europa: quella russa «è stata una prova generale. Per sondare e scoprire quanto sono efficaci i nostri sistemi di allerta precoce e quali sono i nostri tempi di reazione». E da questo punto di vista, «Mosca avrà preso atto che non abbiamo ancora imparato dalla situazione che l’Ucraina sta affrontando da anni». L’Europa ha bisogno di «un sistema di difesa aerea integrato e multistrato», che sappia valutare la portata di un attacco e usare le risorse adeguate, invece ieri sono stati fatti decollare aerei da guerra di alto valore come gli F-35 per abbattere semplici droni.
L’Europa, insomma, deve integrarsi di più e, data l’incertezza dell’aiuto americano, deve farlo a prescindere dalla Nato. Di certo deve spendersi di più per la difesa comune. E spendere di più. Siamo pronti a questo?
Cinque mozioni a zero, nessun vincitore
È l’esito del dibattito parlamentare di ieri sulle spese militari.
- Le opposizioni si sono presentate all’appuntamento con 5 diverse mozioni (Pd, 5 Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra, Azione e Italia viva). Divisioni anche all’interno dei democratici, con i riformisti insoddisfatti. Il no all’aumento del bilancio della Difesa al 5% del Pil, come richiesto dalla Nato (e sollecitato con vigore da Trump) accomuna Pd, M5S e Avs, ma i tre partiti sono divisi sull’Ucraina, una causa che non entusiasma post-grillini e Avs.
- La maggioranza non ha presentato alcuna mozione per evitare imbarazzi: neanche la Lega, come parte delle opposizioni, e a favore dell’aumento delle spese militari. E nel partito di Salvini il filo-putinismo è un fiume carsico che riemerge di continuo. Risultato: meglio nessun documento.
Commenta Massimo Franco: «La realtà è che le divisioni attraversano entrambi gli schieramenti. E indeboliscono l’Italia».

L’esodo dei palestinesi costretti a evacuare da Gaza verso sud (Ap)
- Israele dopo il blitz in Qatar
Il giorno dopo l’attacco dello Stato ebraico ai negoziatori di Hamas a Doha, non è ancora chiaro il bilancio: Hamas ammette solo due feriti. Sul piano politico, spicca il malcontento espresso da Trump: il presidente Usa si è detto «molto insoddisfatto di ogni aspetto» dell’attacco, ribadendo di non essere stato informato in anticipo.Nell’immancabile post su Truth, Trump ha aggiunto che «bombardare unilateralmente il Qatar, una nazione sovrana e stretta alleata degli Stati Uniti, che sta lavorando duramente e coraggiosamente assumendosi dei rischi insieme a noi per negoziare la pace, non favorisce gli obiettivi di Israele o dell’America». A infastidire Trump è il fatto che il Qatar è il suo principale partner d’affari nel Golfo Persico, un partner che ha promesso 1,2 trilioni di dollari di investimenti negli Usa.
Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, la mossa di Israele è una condanna a morte per gli ostaggi in mano al gruppo terroristico:
«L’attacco a Doha è stata una delle operazioni militari più pericolose, inutili e dannose che abbia mai condotto. Il governo Netanyahu ha confermato ciò che si sospettava da tempo: non vuole alcun accordo di cessate il fuoco a Gaza che garantisca anche il ritorno degli ostaggi, perché il loro destino non è di alcun interesse. L’unico obiettivo dell’attacco è la continuazione della guerra e, se possibile, la sua espansione su nuovi fronti.
Non c’è motivo di piangere la sorte dei funzionari di Hamas in Qatar, ma la loro eliminazione non porterà alcun beneficio a Israele, né dal punto di vista militare né, certamente, da quello politico. Al contrario, equivale a una condanna a morte per gli ostaggi».
- Le proteste in Francia
Duecentomila persone hanno preso parte alle manifestazioni organizzate in tutto il Paese dal movimento Bloquons tout, che chiede le dimissioni del presidente Macron sulla scia di un malcontento sociale profondo, aggravato dall’instabilità politica. Un movimento essenzialmente pacifico ma infiltrato da frange violente, col risultato di 500 arresti. La corrispondenza di Stefano Montefiori racconta sia il diffuso malessere della classe media, sia la coazione a ripetere della violenza:«C’è un aspetto ormai rituale e quindi disperato negli scontri di piazza e nei roghi di auto che si susseguono in Francia da molti anni, e nelle occasioni più diverse: arriva un momento del raduno, qualsiasi raduno, in cui si vedono le fiamme, i lacrimogeni, le vetrine spaccate, poliziotti che picchiano e che vengono picchiati. La violenza che cova nella società esplode, si mostra per qualche ora o giorno, poi, per fortuna, torna sotto la superficie».
Intanto il nuovo primo ministro Sébastien Lecornu ha presso ieri ufficialmente il posto del dimissionario Bayrou. Promette «rotture» col passato e «creatività» nel rapporto con le opposizioni, ma la sua è considerata una missione impossibile.
- Bartolozzi, lo scudo della maggioranza
Si ingarbuglia il caso di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro della Giustizia Carlo Nordio, indagata dalla Procura di Roma per false dichiarazioni ai pm. Secondo la Procura di Roma, in marzo ha mentito sulla vicenda di Osama Almasri, in cui Nordio è indagato con il ministro dell’Interno Piantedosi e il sottosegretario Mantovano per omissione di atti di ufficio e favoreggiamento. I pm contestano ai ministri la liberazione del generale libico, arrestato e riportato in Libia con un volo di Stato dopo tre giorni, in gennaio, nonostante fosse ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità e crimini di guerra.Bartolozzi avrebbe mentito su molte circostanze che portarono al rilascio di Almasri. Ora, se i ministri non corrono rischi (la maggioranza della Camera non darà mai l’autorizzazione a procedere), per proteggere Bartolozzi il centrodestra sembra orientato a sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. L’obiettivo è far considerare il reato contestato a bartolozzi «in concorso» e non solo «connesso» con quelli contestati ai ministri, perché così anche lei potrebbe essere giudicata dal Tribunale dei ministri e anche per lei si potrebbe negare l’autorizzazione a procedere (spiega tutto Giovanni Bianconi). Di certo, il caso sarà sempre più politico perché il governo intende usarlo nello scontro che si profila nel referendum sulla riforma della giustizia.
- L’uomo più ricco del mondo Non è più Elon Musk ma Larry Ellison, 81 anni, co-fondatore di Oracle: il sorpasso è avvenuto ieri dopo che il colosso del cloud ha diffuso risultati trimestrali ben oltre le aspettative. L’aumento ha portato il patrimonio totale di Ellison a 393 miliardi di dollari, superando quello di Musk che si attesta a 385 miliardi, secondo il Bloomberg Billionaires Index.
Bloquons tout, blocchiamo tutto. Sono le nuove parole d’ordine in arrivo dalla Francia, stomaco delicatissimo dell’Europa. Bloccare tutto — i binari, le strade, le scuole, gli ospedali — impedire alla giostra del sistema di girare. Non è un programma di governo, ma un urlo di dolore. Radicale e generico, come lo strumento che lo alimenta, il web, e le persone che lo cavalcano, mediamente più giovani e istruite dei «gilet gialli» del passato. Una sorta di super-mega «vaffa» contro Macron e le élite europee al potere, che da quando hanno finito i soldi per lo Stato Sociale (o li hanno dirottati altrove) non riescono più a garantirsi il consenso di chi le vive come un’entità fredda e lontana, quando non addirittura ostile.
Sarebbe però un errore interpretare questo malessere cupo come una richiesta di meno politica e meno democrazia. Chi blocca tutto vorrebbe, sia pure confusamente, una politica più forte, capace di governare i nuovi fenomeni anziché farsene dominare. Invece è proprio questo che sta succedendo un po’ ovunque: dalla finanza ai migranti, dalla transizione ecologica all’intelligenza artificiale. Le novità sono digeribili solo quando sono graduali, altrimenti vengono vissute come un incubo e rigettate in blocco: bloccando tutto, appunto. E a beneficiare di questo clima non sono mai i veri riformisti. Sono i tribuni spregiudicati alla Mélenchon, che non vogliono aiutare il popolo, ma soltanto usarlo per abbattere le élite e prenderne il posto.
Grazie per aver letto Prima Ora, e buon giovedì (qui il meteo).
(gmercuri@rcs.it, langelini@rcs.it, etebano@rcs,it, atrocino@rcs.it)