Il 4 settembre 2025 si è spenta una delle icone più grandi della moda internazionale. Giorgio Armani, Re Giorgio per tutti, non era soltanto lo stilista che ha rivoluzionato l’idea di eleganza, ma un vero e proprio architetto di stile, capace di portare il minimalismo sulle passerelle e di renderlo eterno. Pochi giorni dopo la sua morte, il 9 settembre, sono stati aperti i due testamenti segreti da lui scritti di suo pugno: documenti che contengono le volontà di un uomo che ha costruito un impero da 13 miliardi di euro.
Due testamenti per un impero
I due documenti, scritti a mano e sigillati, sono datati 15 marzo e 5 aprile 2025. Pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, ma sufficienti a sollevare domande: il secondo è una correzione del primo? Una precisazione? O un cambiamento radicale? A occuparsi della pubblicazione è stata la notaia Elena Terrenghi, che ha aperto le buste davanti ai familiari e ai più stretti collaboratori.
Giorgio Armani non aveva figli né coniuge: questo gli ha permesso di decidere liberamente, senza dover rispettare quote obbligatorie di eredità. Tra gli eredi figurano la sorella Rosanna, il nipote Andrea Camerana e le nipoti Silvana e Roberta Armani, figlie del fratello Sergio. Accanto a loro, da sempre, Leo Dell’Orco: braccio destro, compagno e anima organizzativa della maison. Sono loro le figure che dovranno traghettare il marchio in una nuova era.
Ma i testamenti non riguardano soltanto case, yacht e opere d’arte. Al centro c’è il cuore pulsante: la Giorgio Armani Spa, società privata da 2,3 miliardi di fatturato, con oltre 10mila dipendenti e più di 2.700 boutique in 60 Paesi. Lo stilista ne possedeva il 99,9%, mentre lo 0,1% era già in mano alla Fondazione Armani, creata dieci anni fa.
Un patrimonio tra ville, yacht e moda
Armani lascia in eredità un patrimonio immobiliare che racconta molto della sua vita. Dalla villa-dammuso di Pantelleria al rifugio a Saint Moritz, passando per l’attico a New York e la storica residenza di Forte dei Marmi. Solo pochi giorni prima della sua morte aveva acquistato La Capannina, il tempio della Versilia.
Non mancano i dettagli di lusso: yacht da sogno, collezioni d’arte e la squadra di basket Olimpia Milano, di cui era presidente. Un impero diversificato, specchio di un uomo che ha sempre unito creatività e pragmatismo.
Ma soprattutto, c’è il marchio Armani. Una galassia che va dall’alta moda al prêt-à-porter, con linee come Giorgio Armani, Emporio Armani, EA7 e Armani Exchange, fino agli accessori, agli occhiali e alla cosmetica. Un universo che lui ha controllato sempre da vicino, come aveva confessato poco prima dei festeggiamenti per i 50 anni della maison: “La mia più grande debolezza è che controllo tutto”.
La governance e il ruolo della Fondazione
Negli ultimi anni Armani aveva già predisposto un sistema blindato. Nel 2023 aveva aggiornato lo statuto della società introducendo sei categorie di azioni con diritti di voto differenti. Le categorie A e F, pur rappresentando solo il 40% del capitale, valgono più del 53% dei voti in assemblea: un meccanismo studiato per garantire continuità.
Si ipotizza che proprio queste categorie siano state destinate alla Fondazione Armani, affiancata da Dell’Orco e da manager come Irving Bellotti di Rothschild Italia. Gli altri eredi e i collaboratori più stretti avrebbero invece le azioni meno decisive. Una scelta che confermerebbe la volontà dello stilista di preservare indipendenza e armonia, evitando che l’azienda potesse cadere preda di acquisizioni esterne.
Silvana Armani, da anni al fianco dello zio nella creazione delle collezioni donna, è considerata la custode della sua eredità artistica. Leo Dell’Orco, che da sempre disegna il menswear, era già stato incaricato di coordinare il comitato ristretto che guiderà l’azienda.