Ti sei mai chiesto quanto possa essere complesso, fragile e al tempo stesso sorprendente il concetto di famiglia? Non parlo solo dei legami di sangue, ma di tutte quelle relazioni che ci definiscono, ci mettono alla prova e spesso ci costringono a ridefinire noi stessi.
Su Netflix trovi tre miniserie italiane, tutte di 6 episodi, che affrontano proprio questo: drammi intimi, passioni nascoste e relazioni che sfidano i pregiudizi. Tre storie che intrecciano dolore e ironia, desiderio e tradimento, tabù e libertà.
La prima è Storia della mia famiglia (2025, Palomar, regia di Claudio Cupellini). Sei episodi che sanno alternare risate e lacrime, costruendo un racconto corale sulle seconde possibilità.Al centro c’è Fausto, un padre che, colpito da una malattia terminale, cerca di garantire un futuro sereno ai figli, chiamando a raccolta la sua tribù allargata: una madre ingombrante, un fratello fragile, amici pieni di difetti ma anche di affetto.
Eduardo Scarpetta, Vanessa Scalera, Massimiliano Caiazzo e Cristiana Dell’Anna guidano un cast corale che sa emozionare con naturalezza. Cupellini dosa bene i toni, alternando flashback intensi a momenti leggeri, senza mai scivolare nel patetico.
Un dramedy che porta la firma di Filippo Gravino ed Elisa Dondi, ispirato agli scritti di Michela Murgia sul concetto di “famiglia non convenzionale”. Non stupisce che la serie abbia conquistato un indice di gradimento altissimo (97% su Google, 7,3 su IMDb): parla a chiunque sappia cosa significhi perdere e ricostruire.
Se Storia della mia famiglia esplora il legame che resta, Fedeltà (2021, Netflix Studios Italia) mette a fuoco le crepe di una coppia che, almeno in apparenza, non ha nulla che non vada. Michele Riondino e Lucrezia Guidone sono Carlo e Margherita, due coniugi innamorati e complici, eppure tentati da desideri che li spingono oltre i confini domestici: lui verso una studentessa, lei verso il suo fisioterapista.
Sei episodi che non raccontano una crisi matrimoniale tradizionale, ma piuttosto una crisi personale. Lui sente addosso il peso di una famiglia altoborghese, lei la frustrazione di sogni rimasti incompiuti.
La serie, tratta dal romanzo di Marco Missiroli e arricchita dalla colonna sonora con Verosimile di Arisa, ci ricorda che la fedeltà non è solo verso l’altro, ma prima di tutto verso se stessi. Non a caso, la critica ha sottolineato l’efficacia con cui viene indagata la psicologia dei personaggi, tanto da renderli familiari a chiunque.
Poi c’è Inganno (2024, Cattleya/Netflix), che affronta un altro tema “scomodo”: la differenza d’età in una relazione, soprattutto quando a essere più grande è la donna. Sei episodi ambientati tra Milano e la Costiera Amalfitana, con Monica Guerritore nei panni di Gabriella, sessantenne ricca e divorziata, e Giacomo Gianniotti in quelli di Elia, affascinante trentenne dal passato oscuro.
La regia di Pappi Corsicato mette in scena una storia che richiama la miniserie britannica Gold Digger (2019), ma accentua gli stereotipi e le tensioni della cultura mediterranea. È un racconto che mette in discussione ruoli precostituiti, esplorando insieme maternità, desiderio e pregiudizi sociali.
Nonostante recensioni contrastanti (76% di gradimento su Google, 5,6 su IMDb), la serie ha il merito di alzare il velo su un tabù ancora forte: la libertà femminile di vivere l’amore senza etichette.
Tre serie italiane, tre modi diversi di raccontare la vita. Storia della mia famiglia ci ricorda che anche nelle perdite può nascere qualcosa di nuovo. Fedeltà ci costringe a guardare dentro noi stessi per capire quali compromessi siamo disposti a fare. Inganno rompe gli schemi di genere e di età, aprendo un dibattito ancora attualissimo.