di
Andrea Galli
Al secolo Zaccaria Mouhib, mito degli adolescenti della borghesia più che di quelli delle periferie. Introverso e vanesio, sensibile e sguaiato, amato e idolatrato, storia del trapper che non si è accontentato di essere un cantante
Ancora lui, sempre lui, di nuovo arrestato. Il solito disastro, stavolta quelle armi esibite, armi pure con matricola abrasa, eppure il nostro sa di averne combinate così tante che ormai non gliene passano più una e che nel dubbio, beh, nel dubbio… Fra faide, addebiti di rapine, gambizzazioni, tentati omicidi, fra udienze e sentenze, fra deposizioni e ricorsi, fra guardie penitenziarie e libertà a tempo determinato, ha esagerato e sono lì ad aspettarlo. Com’è giusto che sia, per carità.
Difatti il ragazzo, che nessuno s’offenda, è una preda da notizia sicura; e in certi ambienti, suvvia, aiuta le carriere. E dunque, ben tornati al punto di partenza, al qui presente Zaccaria Mouhib alias Baby Gang: uno, pare a chi lo studia, in sfida dapprima con se stesso, ché insegue le regole per violarle a differenza della maggioranza ligia e disciplinata e grigia, insegue l’adrenalina per raccontarlo in giro e suscitare ammirazioni/invidie, insegue la provocazione eterna per leggerne le cronache.
Introverso e vanesio, sensibile e sguaiato, amato, idolatrato, un irregolare di enorme cervello. Tipo fedele anzi fedelissimo al carrozzone di parenti e pseudo-parenti, amici e amici di, connazionali conosciuti o anche ignoti, ovvero quello strambo iper-affollato entourage che gli sta attorno fin dalle origini, da quando Zaccaria, di anni 24, trapper di talento, idolo assoluto di generazioni di adolescenti — come ci spiega un carabiniere, lo amano più i pischelli della borghesia di quelli in periferia, ma questa è un’altra storia, alla pari delle ragazzine della Milano cosiddetta bene per le quali il fidanzato maranza è roba da sballo, esibizione social e sociale —, ecco, si diceva, la sua cerchia e il suo giro permangono e prosperano fin da quando Zaccaria ha iniziato a fabbricare successi. Una macchina da soldi.
E lui fa il gangster, anziché starsene nel suo mondo privilegiato, protetto e modaiolo di canzoni e serate e concerti. Ma qual è, a questo benedetto punto, il vero mondo di Baby Gang?
Siamo quel che siamo per l’indole che è innata, per mamma e papà, per gli incroci col prossimo. Originari del Marocco, i genitori erano emigrati in Lombardia, posizionandosi tra la bassa Valtellina e la provincia di Lecco, terre strette e di gente dai pochi fronzoli, se lavori, bene, altrimenti la comunità ti guarda male e attacca a sparlare, accoglienza insomma sì ma bisogna sudarla, consolidarla col tempo dentro l’aria di diffidenza che è dura a cedere.
Denaro, in casa Mouhib, sempre poco, per non dire meno di zero, specie per responsabilità del padre, un mezzo fannullone, in seguito tornato in Nordafrica fregandosene della famiglia rimasta in Lombardia; Zaccaria in prima elementare ci andava in ciabatte, i compagni lo prendevano per i fondelli. Non c’erano le scarpe come non c’erano i vestiti adatti alla stagione, un ombrello quando pioveva, la merendina o una bottiglietta d’acqua per la pausa di metà mattinata. Zero. A casa, al netto dell’indigenza, non vi badavano. Più che altro, si litigava. Ben prima della quarta elementare, e già Zaccaria vagabondava. Via dalla scuola, via da casa. Saliva sui treni, girava per l’Italia, dormiva in terra, ogni giorno un’avventura nel teatro della vita urbana.
A cazzotti, furti di coperte, pestaggi di gruppo, vendette notturne, ha imparato la strada. Il suo linguaggio. Quello della violenza, o della fratellanza. Con taluni barboni, italiani, vecchi, a un passo dalla morte per il fegato rovinato, ha legato da matti, si tiene ricordi che gli innescano teneri sorrisi, commossi, rari.
Ha la fortuna, Zaccaria, d’aver incontrato sacerdoti come don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, che l’ha aiutato a esplorarsi per tirare fuori, al posto dell’urlo di rabbia o dell’atto predatorio, la poesia della musica, oppure come magistrati quale l’ex giudice Guido Salvini che han tentato di evitargli l’ennesima carcerazione mandandolo in affido ai servizi sociali, situazione per nulla scontata. Ebbene, in una comunità, Baby Gang rifletteva e scriveva lettere, una sorta di diario. Non ci sono giustificazioni per girare armato, ripeteva, e ripeteva ancora, e ancora, e ancora.
Vai a tutte le notizie di Milano
Iscriviti alla newsletter di Corriere Milano
11 settembre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA