CREMONA – A dicembre del 2006 ‘staccò la spina’ a Piergiorgio Welby. Ora, con l’associazione Coscioni accompagna i pazienti al suicidio assistito. Mario Riccio è il medico anestesista cremonese che si è occupato dell’ultimo caso sul quale si è pronunciata la Corte costituzionale, ieri. Ovvero, la storia della donna toscana di 55 anni affetta da sclerosi multipla, paralizzata dal collo in giù, che pur avendo i requisiti per accedere al suicidio assistito, non è in grado di autosomministrarsi il farmaco. Riccio ha firmato l’articolata perizia (sette pagine) per il collegio legale di ‘Lavinia’ (nome di fantasia).

La Corte costituzionale ha detto no «all’intervento di terzi per somministrare il farmaco», ma ha chiesto verifiche sulla strumentazione idonea che consenta a persone come Lavinia di poter usufruire del ‘fine vita’.

Riccio sottolinea «due punti fondamentali» della sentenza. Il primo: «La Corte costituzionale non è entrata, per ora, nel merito; si è posta un problema tecnico. Non ha rigettato in sé l’idea di un suicidio di atto eutanasico». Il secondo «molto positivo: la Corte costituzionale è ritornata a parlare del Sistema sanitario nazionale, ribadendo che la morte assistita si svolge sotto l’egida, sotto il controllo del Sistema sanitario nazionale, mentre il disegno di legge che andrà in discussione a settembre, lo escluderebbe».

In riferimento al ruolo del Servizio sanitario, la Corte osserva che «la signora ha una situazione soggettiva tutelata, quale consequenziale proiezione della sua libertà di autodeterminazione e, segnatamente, ha diritto di essere accompagnata dal Ssn nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego».

Nella sua perizia, Riccio ha descritto le condizioni della signora, confermando la sua impossibilità ad autosomministrasi il farmaco: «La signora ha tutti i requisiti per procedere. La mia relazione era impostata sul principio che si dovesse dare una risposta quasi immediata alla paziente. La Corte non ne ha tenuto conto, anche se scrive di ‘tempo ragionevole per reperire un dispositivo valido’».

Lavinia si era rivolta al Tribunale di Pisa. Il giudice ha chiesto all’ospedale se avesse un sistema, un dispositivo (ad esempio, una pompa a comando)». L’ospedale ha risposto: ‘Non si può’. E il giudice si è arreso, mentre per la Corte costituzionale doveva andare oltre, allargare l’accertamento. Il ragionamento della Consulta: il giudice ha espletato tutte le possibilità per poter giungere alla sua conclusione? E ha indicato il Servizio sanitario nazionale.

Il caso di Lavinia è molto simile a quello di Serena, il primo caso di suicidio assistito in Lombardia (a gennaio di quest’anno), il sesto in Italia. Assistita dall’anestesista Riccio, nella propria abitazione Serena ha potuto procedere con l’autosomministrazione del farmaco. «Anche in questo caso — spiega il medico —, l’ospedale di Milano aveva detto di non aver trovato il sistema per l’autosomministrazione, ma aveva dato il farmaco. La signora è morta, perché grazie a un piccolo movimento della bocca, era riuscita ad autosomministrarsi il farmaco.

Un caso politico. «La posizione di FdI lombarda ai tempi di gennaio del caso della signora di Milano, cioè che il farmaco non venisse fornito dal sistema sanitario, si è poi effettivamente ritrovata nella proposta di legge nazionale».