di
Marta Serafini

I raid russi con questi velivoli sono ormai in media 185 al giorno. Quelli «esca» indeboliscono gli intercettori ucraini: bombardare costa meno che difendersi

Economici (costano intorno ai 20 mila dollari l’uno), leggeri (gli ultimi modelli sono fatti anche col polistirolo), mortali (uccidono ogni giorno in Ucraina civili e militari). Che si tratti dei bombardamenti sulle città ucraine, sui target militari russi e ora anche sul territorio Nato, se dici guerra ormai dici droni.

Finito il monopolio iraniano e turco, i russi si sono messi a produrre nuovi modelli più economici ma altrettanto letali. Ora nei cieli vanno per la maggiore i Geran (analoghi russi degli iraniani Shahed), i Garpiya (realizzati con componenti cinesi) e i Gerbera (decoy, esche, a basso costo che imitano gli Shahed sui radar ma trasportano poco o niente esplosivo, destinati a indebolire i costosi missili intercettori dell’Ucraina). Bianchi i primi modelli prodotti da Teheran, nella loro forma attuale gli Shahed low cost misurano circa 3,3 metri, e nonostante il loro peso di 180 chili si muovono quasi invisibili nei cieli notturni avvolti in scafi in fibra di carbonio nero per evitare i radar.



















































Economici, leggeri, mortali Così i droni d’attacco dominano la guerra

Nell’ultimo anno i tecnici ucraini hanno identificato almeno cinque tipi di testate, tra cui cariche termobariche, incendiarie e ad alto esplosivo in contenitori d’acciaio frammentati di vario peso. Alcuni campioni analizzati questa primavera raggiungevano i 90 chili. Ora i droni dello zar sono dotati di modem e schede sim ucraine, che si collegano alle reti cellulari; i modelli più recenti ne hanno più di una, per passare a un nuovo numero di telefono in caso di interruzione della connessione. Disturbarli con le tecniche di jamming è diventato dunque sempre più difficile.

Dopo aver ottenuto i progetti iraniani, per sfornarne migliaia ogni mese la Russia ha costruito una propria enorme fabbrica in Tatarstan dove impiega manodopera a basso costo (donne straniere e studenti soprattutto) e ha aperto una nuova linea di produzione presso l’impianto elettromeccanico di Izhevsk, dove già vengono prodotti i droni Garpiya. La chiave di tutto sono i costi. I modelli di fabbricazione russa Geran-1 (noto anche come Shahed 131) e Geran-2 (noto anche come Shahed 136) costano tra i 20 mila e i 50 mila dollari. «Nel 2022, la Russia pagava in media 200 mila dollari per un drone di questo tipo», spiega al Corriere una fonte dell’intelligence della Difesa ucraina. Uno zero in più. «Nel 2025, quella cifra è scesa a circa 70 mila dollari», grazie alla produzione su larga scala. A titolo di confronto, un singolo intercettore missilistico terra-aria può costare più di 3 milioni di dollari. Tradotto, bombardare oggi è meno costoso che difendersi. 

Non a caso, secondo un conteggio del Center for Strategic and International Studies, dall’inizio dell’anno la Russia ha lanciato almeno 37 mila attacchi aerei contro l’Ucraina. E l’impennata — lo conferma l’Institute for the Study of War (ISW) — è da registrare in seguito alla ripresa dei colloqui bilaterali tra Ucraina e Russia a Istanbul, in Turchia, il 15 maggio. 

Tra gennaio e maggio 2025, gli attacchi con droni russi hanno registrato una media di circa 120 al giorno. Da maggio ad agosto, la media è stata di 185. Un bel salto se si considera che all’inizio della guerra le salve di missili e droni più consistenti venivano lanciate circa una volta al mese. Questo — dal punto di vista strettamente militare — significa che la ripresa delle trattative tra Mosca e Kiev ha avuto un effetto e uno solo: far aumentare gli attacchi su target civili in Ucraina. 

Altro discorso, l’attacco in Polonia. Secondo l’esperto militare ucraino Ivan Stupak, è probabile che i droni utilizzati non fossero da combattimento, ma che fossero stati progettati appositamente per volare nel territorio polacco per testarne i sistemi di sicurezza. Stupak, ex agente dei servizi di sicurezza ucraini, spiega che l’attacco potrebbe aver consentito alla Russia di tracciare la sequenza delle risposte radar della Polonia e di osservare quali aerei erano stati fatti decollare. 

Kirill Shamiev, ricercatore presso l’European Council on Foreign Relations, aggiunge che l’attacco «è un segnale che la situazione potrebbe degenerare in un flusso regolare di droni russi “vaganti”, fatti di legno e nastro adesivo, verso aeroporti polacchi e baltici e altri hub logistici». La strategia? «Dimostrare che Mosca può peggiorare significativamente la vita degli europei senza oltrepassare la soglia percepita di un’escalation militare, offrendo al contempo “concessioni” in cambio della “comprensione” europea degli interessi di Mosca in Ucraina», scrive Shamiev. 

Ovviamente, i droni non sono i protagonisti solo del conflitto tra Ucraina e Russia. «La Nato finirà probabilmente per utilizzare i droni su larga scala. Non come Russia e Ucraina, perché abbiamo investito in queste enormi forze aeree che possono colpire con grande potenza e rapidità, ma in aggiunta», spiega Robert Tollast, ricercatore presso il Royal United Services Institute. 

Taiwan sta già valutando lo sviluppo di un gran numero di droni d’attacco a basso costo. Anche attori non statali come i cartelli della droga fanno sempre più affidamento sui droni per le loro attività. Una sfida per tutti gli eserciti del mondo che non si sono tenuti al passo.

12 settembre 2025