In più casi, la giurisprudenza ha spiegato che il datore di lavoro può servirsi di un’agenzia investigativa per verificare i comportamenti del dipendente, che fruisce dei permessi 104. L’eventualità rientra nei poteri dell’azienda, ma è pur sempre condizionata ai limiti rappresentati dalle regole sulla privacy.
La frode del dipendente, in danno dell’azienda, può palesarsi in vari modi. Recentemente è intervenuta una sentenza, la n. 24564, con cui la Suprema Corte ha sostanzialmente ribadito che non è illegale far pedinare – da detective professionisti – i propri dipendenti che lavorano “in esterna”. Il tutto al fine di verificare il corretto adempimento delle mansioni contrattuali.
Considerate le numerose attività lavorative che si svolgono fuori dalle mura della sede aziendale, vediamo da vicino caso e decisione, evidenziando che cosa i lavoratori debbono sapere per evitare gravi rischi disciplinari.
L’accertamento delle violazioni del dipendente
Un dipendente avente le mansioni di letturista era sospettato di essere poco produttivo nelle sue attività lavorative, che prevedeva – come noto – vari spostamenti sul territorio di assegnazione. Essendo una figura professionale con la funzione di registrare i consumi di acqua, gas o energia elettrica, rilevandoli dai contatori presso abitazioni e aziende, il dubbio o sospetto di comportamenti non diligenti, se non addirittura fraudolenti, è certamente possibile.
Ebbene, alcuni anni fa l’azienda – confrontando le sue performance lavorative con quelle dei colleghi – si era accorta del rendimento oggettivamente scarso del dipendente e, da questo dato di fatto, decise di intraprendere un’indagine più approfondita circa il corretto svolgimento delle mansioni “in esterna”.
Ebbene, a seguito dei pedinamenti effettuati dall’agenzia investigativa incaricata, emerse come il dipendente avesse l’abitudine di falsificare gli orari, ma anche quella di recarsi – durante l’orario di lavoro – in luoghi che nulla avevano a che fare con le sue mansioni. Inoltre, l’uomo era stato visto permanere nell’auto aziendale per lungo tempo nell’arco della giornata, senza fare nulla e in palese violazione delle più comuni regole di lealtà e buona fede nel rapporto di lavoro.
Con relativa contestazione, ci fu così un procedimento disciplinare nei suoi confronti, che si concluse con la massima sanzione, il licenziamento per giusta causa. Nonostante il quadro delle accuse nei suoi confronti, l’uomo impugnò la decisione e ne sorse una disputa giudiziaria.
In tribunale l’esito non cambiò, perché il rendimento sotto la media – dovuto alle violazioni menzionate – fu ampiamente documentato grazie agli elementi di prova raccolti nell’attività investigativa. Anzi, fu proprio quest’ultima a inchiodarlo alle sue responsabilità, confermando la bontà dei sospetti. La magistratura confermò così la correttezza del recesso.
Cosa sono i controlli difensivi
A nulla sono valsi il ricorso in Cassazione e le difese dell’uomo, che si opponeva all’azione disciplinare intrapresa dall’azienda nei suoi confronti, contestandone la tempestività. I magistrati di piazza Cavour hanno infatti aderito al ragionamento logico-giuridico compiuto dai giudici di merito, i quali avevano correttamente ricostruito i fatti di causa, componendo un quadro di elementi che metteva il dipendente innanzi alle conseguenze previste dalla legge.
Mettendo in moto la macchina dei cosiddetti controlli difensivi, l’azienda aveva agito nel modo giusto, raccogliendo – tramite i servizi dell’agenzia investigativa – tutto il materiale utile a giustificare la massima sanzione disciplinare inflitta.
Il calo di performance fu la “spia” di qualcosa che non andava, e fu ciò che spinse il datore a servirsi dei pedinamenti dei detective per fare piena luce sulle violazioni e documentarle utilmente in giudizio. I dubbi su lealtà, diligenza e buona fede del dipendente – valori tutelati dal Codice Civile – giustificano le attività investigative, perché a rischio, ricorda la Suprema Corte, c’è la solidità del patrimonio e dell’immagine aziendale nei confronti dei terzi.
Che cosa cambia
La decisione n. 24564 della Cassazione chiarisce ulteriormente il perimetro dei poteri aziendali, in merito ai controlli sui lavoratori. Un datore non vìola le norme sulla privacy se incarica un detective per compiere indagini mirate ad accertare violazioni del dipendente.
L’azienda che nutra il sospetto che un dipendente, incaricato di svolgere mansioni “esterne” ad es. come rappresentante, tecnico o venditore, non rispetti l’orario di lavoro e utilizzi il tempo retribuito per svolgere attività personali, può legittimamente incaricare un’agenzia investigativa. La giurisprudenza (tra cui Cass. n. 15094/2018) ha infatti chiarito che tali controlli sono consentiti, purché finalizzati a verificare il corretto adempimento degli obblighi contrattuali e non a invadere la vita privata del lavoratore.
In termini pratici, l’attività investigativa può consistere in pedinamenti negli spostamenti esterni, osservazioni dirette, raccolta di prove fotografiche o video in luoghi pubblici o aperti al pubblico e nella redazione di un report dettagliato da consegnare al datore di lavoro. Tutto ciò, però, deve rimanere entro i confini della liceità: l’agenzia non può introdursi nella sfera privata del dipendente (abitazione o luoghi di vita familiare), né utilizzare strumenti invasivi come ad es. microspie, che violerebbero la legge sulla privacy e lo Statuto dei lavoratori.
Come visto sopra, le conseguenze pratiche possono essere rilevanti: se emergono prove che il lavoratore abbandona sistematicamente i propri compiti, il datore potrà procedere con una contestazione disciplinare che, nei casi più gravi, può sfociare in un licenziamento in tronco.
Gli esempi pratici non mancano. Si pensi a un tecnico manutentore che, invece di recarsi dai clienti come previsto, trascorre le ore di lavoro in un bar o a fare commissioni personali: le indagini fotografiche dell’agenzia hanno dimostrato le ripetute assenze ingiustificate, legittimando il recesso datoriale. Oppure, al caso di un venditore che dichiarava visite quotidiane a potenziali clienti ma che, grazie al pedinamento investigativo, è stato scoperto passare gran parte della giornata in casa propria: il giudice ha ritenuto valide le prove raccolte e ha confermato la giusta causa di licenziamento. Recentemente, un cassiere è stato licenziato per essere stato scoperto responsabile di ammanchi di cassa.
In definitiva, il ricorso ad agenzie investigative rappresenta uno strumento delicato, ma efficace, per il datore di lavoro, a condizione che venga esercitato nel rispetto delle regole di legge e dei diritti fondamentali del lavoratore.