Da infermiera della rianimazione a insegnante di sostegno. Krizia Mastrosimone, 37 anni, ha cambiato vita, o forse non così tanto. «Ho tante passioni – dice la professionista che prima della laurea si è diplomata al Verri – e portarle avanti tutte insieme non riesco. Mi sono licenziata nel marzo 2024 dall’ospedale, non riuscivo a conciliare la vita professionale con quella personale, ho colto il momento di difficoltà del clima infermieristico (adesso so che è migliorato) e ho cambiato vita. Ho iniziato a fare libera professione, a domicilio, negli ambulatori della farmacia Manfrini, oppure facevo assistenza sanitaria ai carabinieri al poligono di tiro, e intanto mi sono messa a disposizione per le supplenze. Nel mentre ho coltivato l’interesse per il teatro. Avevo già fatto teatro con il Ramo e lo faccio per solidarietà con La Manika di Lesmo, quando mi sono licenziata mi sono diplomata con l’Accademia europea dei formatori teatrali come educatrice teatrale. Con la stessa accademia poi ho partecipato a un workshop per fare teatro a scuola». Da novembre a giugno Mastrosimone ha fatto sostegno all’infanzia di Lodi Vecchio, aveva due bambini in affidamento, uno di loro ha fatto passi da gigante e i genitori hanno chiesto che l’insegnante venisse confermata. Ieri, primo giorno di scuola, Mastrosimone ha partecipato agli interpelli delle scuole. Non è in graduatoria e quindi la precedenza va alle colleghe. «Aver fatto l’infermiera – ammette – mi ha aiutato tanto con gli alunni del sostegno. Ho un approccio alla persona diverso. Un’infermiera si accorge subito dei bisogni dell’altro. Ho sempre puntato molto sulla relazione. La rianimazione è il posto nel quale ho lasciato di più il cuore, eravamo una grande squadra. La condivisone delle esperienze ha creato dei legami forti».
Il periodo del Covid per chi ha lavorato in rianimazione ha lasciato un segno profondo. «Forse è anche da lì, da quella vicenda drammatica, che ho iniziato a riflettere – dice la professionista -, poi il ruolo dell’infermiere ,e adesso anche quello del medico, non è sufficientemente valorizzato, per non parlare della paga, nonostante sia pesante dal punto di vista fisico e psicologico. Se ci fosse più riconoscimento magari avrei continuato». Però anche a scuola sfruttano la sua formazione infermieristica: «Tutti mi chiamano – dice -, “Krizia c’è da provare la pressione alla collega”, “Krizia, un bambino si è messo un fagiolo nell’orecchio”, “Krizia vieni, la bambina ha le convulsioni febbrili”. Non so quanti accessi al pronto soccorso ho evitato». Questi sono giorni d’ansia in attesa della chiamata nella scuola. «Ho scoperto l’attitudine per i bambini facendo teatro – dice -. Uso il teatro per cambiare l’approccio didattico e spostare gli alunni dai banchi. Il teatro è inclusivo, tutti possono fare qualcosa. Grazie al teatro si può tornare a insegnare ai bambini a giocare davvero. Durante il gioco libero, ogni tanto chiedo ai bambini di 5 anni: “Cosa state facendo?”. E scopro che stanno simulando dei video giochi, a sfondo violento. Il lavoro da fare con loro e con i genitori è enorme».