«La leggenda narra che quando nacque mio padre, una colomba si posò sul davanzale della finestra della camera. Mia nonna, Edi, una vera forza della natura, esclamò: “Ho dato alla luce un Papa?”», racconta Matteo Bocelli, 27 anni, secondogenito del tenore toscano, nato nel 1997 dall’unione con la prima moglie Enrica Cenzatti (due anni prima era nato il fratello Amos – la coppia ha divorziato nel 2002 e Bocelli nel 2014 ha sposato Veronica Berti, dalla quale due anni prima aveva avuto una terza figlia, Virginia). No, la signora Edi non aveva certo dato alla luce un Papa, ma il cantante destinato a diventare uno degli italiani più famosi a livello mondiale, con 70 milioni di copie vendute. L’aneddoto dice molto di quanto la figura paterna pesi su Matteo, che ha deciso di seguire le orme di Andrea e ieri ha pubblicato il suo secondo disco, Falling in Love, a due anni dall’eponimo album d’esordio. L’ha anticipato il duetto con Gianluca Grignani su La mia storia tra le dita (pubblicato anche in spagnolo), con il quale l’8 agosto i due hanno bruciato di un mese l’uscita di una cover della stessa canzone fatta da Laura Pausini (la sua è uscita ieri).
Ci spiega cos’è successo?
«Non lo so neppure io, mi creda. Io dell’esistenza di questa cover di Laura e degli accordi che avevano preso loro (Pausini ha sostenuto di aver informato lo scorso febbraio Grignani dell’uscita, ndr) non ne sapevo nulla».
E quindi?
«Magari c’era qualcosa tra loro due che era rimasto in sospeso in passato. Non me la sento di puntare il dito contro nessuno. Mi sono ritrovato ad assistere a questa vicenda da spettatore».
Ha avuto modo di sentire Laura, che è praticamente un’amica di famiglia?
«No. Ho preferito non alimentare il dibattito social. Non mi piace quel tipo di comunicazione. Spero ci sia modo di vederla di persona presto e parlarne a voce. Io sento di aver agito in totale buona fede».
Nel disco la cover è in versione spagnola e sono solo tre i brani in italiano, su undici pezzi. Uno, peraltro, è una cover di Caruso di Lucio Dalla. Punta all’America?
«Sì, non lo nego. È un disco più internazionale. Ma fatto in casa, per giocare con l’italianità. L’ho registrato tra le colline toscane con il produttore Martin Terefe (Shawn Mendes, Jason Mraz, ndr) e autori di fama mondiale come Toby Gad e Johan Carlsson, già al fianco di Beyoncé e John Legend».
È vero che uno dei due inediti in italiano, “Naive”, l’aveva pensato per Sanremo?
«Sì. Ma all’edizione 2026 non potrò partecipare per un impegno già preso (ieri ha dato il via da New York al tour mondiale, ndr). Per quel palco mi sento pronto. Ma dovrò aspettare un altro pezzo. Sperando sia quello giusto».
Il cognome è più croce o più delizia?
«Ci sono pro e contro in egual misura. Da un lato ho più possibilità di altri, non lo nego. Dall’altro, ho meno possibilità di sbagliare».
Che ruolo ha suo padre nella vita?
«È sempre molto presente e desidera vedere la famiglia unita. Ma a volte i figli è anche bene lasciarli andare e fargli vivere la loro, di vita».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il punto serale sulle notizie del giorno
Iscriviti e ricevi le notizie via email