«Presentiamo un’esperienza molto particolare, in cui un grande artista e un gesuita si sono incontrati e scontrati». La premessa di padre Antonio Spadaro sembra condurre piuttosto lontano da quanto afferma Michelangelo Pistoletto – «combattere la guerra della pace preventiva» – e invece ne è il terreno fertile. Al centro la “Spiritualità”, appuntamento del Festival del Pensare Contemporaneo, che nel pomeriggio ha riunito i rappresentanti dei due mondi, arte e religione, al tavolo di palazzo Gotico, oltre che titolo del libro di cui sono autori. 

A moderare la conversazione tra Spadaro e Pistoletto, il filosofo e curatore del volume, Francesco Monico. Tutto è nato in occasione di un evento al Maxxi di Roma, spiega l’artista, e dall’interesse per i rispettivi discorsi, che poi ha trovato seguito in uno scambio durato circa tre anni, «in casa sua – aggiunge Spadaro – mangiando, a cena, a pranzo» in un luogo «dove la dimensione intellettuale è incontro tra due persone». Da un lato il teologo e appassionato d’arte, dall’altro il maestro di una sfera, quella dell’arte contemporanea, che da lungo tempo si è fatta laica: «Non un’armonica conversazione, ma due persone che hanno alle spalle esperienze diverse, in termini di anni, credo, saggezza, comprensione del gesto artistico».

La differenza tra un parlare in cui “io dico la mia e lui la sua” – sottolinea Spadaro – è la creazione di un luogo “terzo”, «dove sono emersi contenuti nuovi per entrambi e ognuno ha capito cose che non aveva capito» Un «fare la pace» capace di emergere «non solo dove ti distruggo completamente o sulle basi delle armi che abbiamo, ma che avviene se decidiamo uno spazio che non siamo “né io né te”».

«Le religioni – spiega Pistoletto – hanno sempre avuto un ruolo importantissimo per l’arte, ne erano al servizio, quella moderna se ne è completamente staccata; si è isolata e la religione ha continuato a nutrirsi di quelle immagini». Un’arte divenuta «spirito individuale della libertà assoluta, ma se non si collega alla vita comune non serve a niente, serve solo all’artista a sentirsi solo».

Una cesura da ricomporre, nel nome di una spiritualità vista come componente dell’arte, fin dalla sua prima apparizione: «L’impronta della mano sulla caverna fatta dall’uomo primitivo – aggiunge – è stata il salto dalla dimensione fisica e animale a una virtuale: quella è una mano che non morde, non maneggia strumenti, è l’identità della mano, identica ma non fisica».

Esempio delle possibilità di questo incontro – continuano i relatori – ne è anche la tavola con rappresentanti di varie religioni organizzata a casa di Pistoletto «in un clima di condivisione, che ci ha permesso di usare la parola pace attraverso l’arte».

«Uno dei problemi che viviamo, anche a livello politico – dice Spadaro – è una mancanza radicale di immaginazione; siamo abituati a vedere i rapporti internazionali in un certo modo, come una scacchiera. Se li pensassimo con un’immaginazione differente – non come scacchiera, ma ad esempio del tessuto – cambierebbe tutto. Il tessuto non può esistere se i fili non si intrecciano e lo sostengono». «Nella vita – continua Pistoletto – siamo sempre davanti a una competizione: fin da bambini uno deve essere più bravo dell’altro, anche solo con una palla. La competizione è fondamentale, ma con la creazione la trasformiamo da soppressione dell’altro, a una vittoria che serve a tutti e due: siamo entrambi necessari per competere. Alla base c’è il rispetto: bisogna combattere la guerra della pace preventiva, non solo a parole, si tratta di metterla in pratica».

Nel dialogo entrano anche le opere specchianti di Pistoletto, «come superamento del narcisismo», introduce Spadaro, «che ci impedisce stupore e meraviglia e non ci fa vedere la realtà».

«Nasce dall’educazione ricevuta da mio padre – racconta l’artista – che mi ha insegnato a dipingere e a 14 anni mi ha messo in condizione di copiare la mia immagine allo specchio». Un padre “tradizionalista” che «all’accademia non mi ha mandato perché “lì ti rovinano”». Poi arriva alla scuola del pubblicitario Armando Testa e «mi dice che la prima cosa che devi conoscere è l’arte moderna».

«L’ho vista e ho capito che arriva all’estremo individualismo; mio padre però non mi ha insegnato una cosa astratta, ma l’autoritratto. Allora ho iniziato a lavorare la materia della tela con fondo oro, argento, qualcosa che imitasse lo specchio. Mi vedevo dentro la tela mentre mi stavo guardando, con tutta la realtà che girava intorno». Non una autosservazione, ma uno sguardo aperto sull’esistente: «Nello specchio c’è il racconto di ciò che esiste, lì dentro c’è l’universo; ogni persona che passa davanti al quadro, come gli animali, gli uccelli, il giorno e la notte. Tutta la fisicità che sta davanti all’opera d’arte è già dentro l’opera d’arte».