di
Federico Fubini e Antonio Polito
La spesa nella Ue è di 381 miliardi, meno di un terzo va agli investimenti. Ma per contrastare droni da 20 mila euro servono sistemi molto più dispendiosi
Ma davvero l’Europa spende già abbastanza per la difesa, più della Russia, e dunque non è necessario che investa ancora in piani di riarmo, come da più parti, da destra e da sinistra, si sostiene? Proviamo per un attimo a rileggere l’esercizio di guerra appena avvenuto nei cieli europei come un registro contabile. Del mezzo migliaio di droni russi che hanno aggredito l’Ucraina nella notte tra martedì e mercoledì, diciannove hanno proseguito la loro strada fino alla Polonia. Erano modelli derivati dagli Shahed iraniani, con varianti sviluppate grazie all’esperienza di tre anni e mezzo di attacchi. Il loro costo di produzione, verosimilmente, varia fra i ventimila e i cinquantamila euro l’uno.
Ma per contenere quella minaccia da meno di un milione di euro i Paesi della Nato — la Polonia stessa, l’Olanda e l’Italia — hanno schierato una forza aerea composta di Awacs da trecento milioni di dollari con radar rotanti e sensori avanzati per il comando e controllo, F-35 da almeno cento milioni di dollari e, a quanto pare, F-22 da 350 milioni di dollari l’uno. Risorse forse da oltre un miliardo per affrontare una minaccia mille volte meno costosa. Peraltro dalle parole di Donald Tusk, il premier di Varsavia, è parso di capire che le forze Nato non hanno neppure abbattuto tutti i droni russi ma solo «quelli che rappresentavano una minaccia diretta» (probabilmente tre o quattro). Mosca lo ha fatto anche per ottenere, con modica spesa, un’idea più precisa di come funzionano i protocolli di difesa aerea della Nato.
Ma proprio nell’asimmetria dei budget si nasconde la lezione dell’altra notte: nella guerra moderna i sistemi d’attacco — dai droni, ai missili da crociera, ai missili balistici — costano una frazione di quelli di difesa. Una batteria antimissile di Patriot americani o di Samp-t italo-francesi può richiedere non molto meno di un miliardo di euro (nel migliore dei casi), ma serve per fermare missili anche da poche migliaia o decine di migliaia di euro.
Il confronto
I budget della difesa non saranno mai una scienza esatta. Ma anche per questo il fatto che l’Europa oggi abbia una spesa militare (sulla carta e in termini assoluti) più che doppia rispetto alla Russia, non comporta affatto che essa sia eccessiva, e forse neppure sufficiente come deterrenza di fronte alla minaccia. Sulle cifre della spesa europea per la difesa si combatte da mesi una singolare battaglia per la conquista dell’opinione pubblica. Se si può provare che è superiore alla spesa militare della Russia, c’è chi ne trae la conclusione che la minaccia rappresentata dall’espansionismo di Mosca ne uscirebbe chissà perché ridimensionata, quasi come se Putin si rivelasse un Davide che combatte con la fionda contro il Golia europeo; nonostante che nel suo venticinquennio al potere la Russia sia stata per diciannove anni impegnata in uno o in più conflitti armati contemporaneamente (Cecenia, Georgia, Siria, Ucraina).
Tralasciamo il valore morale di queste tesi, sostenute mentre lo «zar» si fa beffe ogni giorno di qualsiasi proposta di trattativa e di tregua, e anzi approfitta delle incertezze di Trump per scagliare attacchi senza precedenti contro i civili e le città ucraine, a partire da Kiev, la capitale che tre anni fa non riuscì a conquistare. Si vede che di armi ne ha abbastanza per seminare morte e distruzione.
Vorremmo piuttosto provare a confutare gli assunti non veritieri di questo ragionamento, e a far chiarezza sui dati. Innanzitutto i raffronti in cifre assolute tra un Paese come la Russia, che dispone di un prodotto interno lordo undici volte inferiore a quello dell’Unione europea, e di una popolazione tre volte inferiore, possono risultare mistificatori. La quota di Pil pro capite destinata alla difesa è ciò che definisce la vocazione bellica di una nazione. Dire che l’Europa spende di più della Russia in armi è come dire che gli Usa spendono di più in welfare della Svezia: in termini assoluti è ovviamente vero, ma l’affermazione è falsa.
Il bilancio
Vediamo i numeri puri e semplici. Se davvero i governi dell’Unione europea spendessero quest’anno il 2% del loro prodotto lordo in difesa, il loro bilancio militare sarebbe intorno ai 381 miliardi di euro. Se arrivassero quest’anno a rispettare l’impegno Nato di una spesa al 5%, salirebbero a novecento miliardi di euro (la scadenza è fissata tra dieci anni). La Russia invece ha un bilancio militare di circa l’8% del suo prodotto lordo, per l’equivalente di circa 150-160 miliardi di euro.
Perché questo dovrebbe comunque spingerci a investire ancora di più in sicurezza? Il primo aspetto da considerare, oltre all’asimmetria dei costi fra difesa e attacco prima descritta, è nei budget degli investimenti effettivi. Pagare le pensioni dei riservisti (o, se ci fossimo riusciti, finanziare come spesa indiretta per la Nato il Ponte sullo Stretto di Messina) entra comunque nel bilancio, ma non accresce le capacità di difesa. Infatti i budget per investimenti nell’industria della difesa vera e propria nell’Unione europea l’anno scorso erano di 106 miliardi di euro: meno di un terzo del totale.
La forza d’urto
Quanto alla Russia, non è dato sapere. Ma la società di consulenza Bain & Company stima in un rapporto che nel 2024 le fabbriche russe sono arrivate a produrre 4,5 milioni di colpi d’artiglieria (tipicamente di 152 millimetri) al costo medio di circa mille dollari a pezzo. Nel frattempo, nello stesso anno, Europa e Stati Uniti insieme avrebbero prodotto 1,3 milioni di colpi (tipicamente da 155 millimetri) al costo di quattromila dollari al pezzo, con punte di cinquemila dollari.
La quantità di forza d’urto militare prodotta a parità di spesa, in Russia e in Europa, non è dunque uguale. Com’è possibile un rapporto di costo da uno a quattro? In parte la qualità non è sempre paragonabile. Ma soprattutto gli storici impianti russi di Uralvagonzavod (da decine di migliaia di colpi al mese), di Tula o di Kurganmashzavod lavorano in condizioni completamente diverse. Il Cremlino è passato da anni a un’economia di guerra. La Russia produce l’acciaio, il ferro e l’energia che le sue fabbriche di armi possono ricevere a prezzi di costo: una frazione di quelli occidentali.
C’è infine una riprova che lo sforzo europeo serve a qualcosa. L’azienda occidentale che sta aumentando di più la produzione di artiglieria è la tedesca Rheinmetall. Quest’anno produrrà 350 mila pezzi nei suoi impianti di Unterlüss. L’anno scorso i servizi tedeschi hanno bloccato un piano per uccidere il suo amministratore delegato Armin Papperger. Era dei russi.
In realtà la polemica sulle cifre delle spese militari è a uso interno. Serve solo a sostenere che l’incremento degli investimenti per la difesa sollecitato dalla Nato e deciso dall’Unione europea non è giustificato. E in parte sembra raggiungere i suoi obiettivi. La confusione politica è infatti così grande che qualche giorno fa, nel Parlamento italiano, né la maggioranza che sorregge il governo né l’opposizione che lo contrasta, sono riusciti a produrre una qualsiasi mozione unitaria sul riarmo europeo. Un silenzio da «sonnambuli», mentre parlano le armi.
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13 settembre 2025
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