Chissà cosa avrà pensato Roberto Mancini, seduto nel box più alto della tribuna del ‘Ferraris’, mentre la Sampdoria di Massimo Donati veniva affondata dai colpi del Cesena allenato da Michele Mignani, suo ex compagno di squadra nell’anno dello scudetto. Il calcio sa essere imprevedibile anche a distanza di decenni, ma la Samp vista questa sera è stata, purtroppo e per l’ennesima volta, la stessa degli ultimi mesi. Lenta, arrendevole e confusa, a cospetto di un avversario onesto ma non trascendentale.
Il risultato finale di 1-2 restituisce il divario elementare che separa le squadre che vincono da quelle che perdono. Tirare in porta non è un’opzione, nel calcio, piuttosto un obbligo; difendere la propria porta è altrettanto necessario. I limiti della Samp odierna sono questi: a partire da una manovra che non porta pericoli agli avversari per chiudere con un impianto fragile, di fronte ad avversari organizzati.
Si spiega così il primo tempo, con una punizione di Castagnetti a sigillare il parziale. Nessuna vera emozione, nessun sussulto, solo qualche tentativo di Estanis Pedrola a scaldare il pubblico, mentre il Cesena si limita a controllare e ripartire. Pedrola protagonista sfortunato: un nuovo infortunio muscolare ad inizio ripresa lo mette ancora ko.
I fischi di metà partita sono soltanto il preludio a quelli che arriveranno in corso di secondo tempo. Il Cesena impiega soltanto otto minuti per trovare il raddoppio con Zaro, che appoggia da pochi passi su una gigantesca dormita della difesa blucerchiata.
Lo 0-2 non resterà tale fino a fine partita, per effetto del gol di Ioannou in pieno recupero. La sconfitta arriva lo stesso, così come è deprimente leggere il numero di conclusioni doriane parate da Klinsmann fino al 90′. Zero appunto. Zero come le lunghezze in classifica per mister Donati, le cui scelte possono certamente far discutere. Ma è tutta la Sampdoria in questo momento a preoccupare, dal vertice del club all’ultimo dei panchinari, per tacere di un settore giovanile ampiamente da ricostruire dopo lo tsunami che lo ha travolto.
Sul finale di gara, i tifosi della Sud hanno gridato contro la società, presto imitati dagli altri settori. Un atto d’accusa e una presa di coscienza, perché il tempo per questa proprietà è scaduto: dopo lo scampato pericolo della stagione passata, fare meglio era un dovere. Di redenzione, però, nessuna traccia.
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