di
Giuseppe Sarcina

Verso il congelamento della web tax. Oggi l’incontro tra il presidente Usa e von der Leyen. L’insofferenza di Parigi e Berlino, che chiedono di non capitolare di fronte a Washington

Prima di arrivare in Scozia, Donald Trump ha formulato un pronostico praticamente inservibile: «Le possibilità di raggiungere un accordo sui dazi con l’Unione europea sono 50 e 50. Ma se ci arriviamo, sarà il più grande di tutti». Ieri il presidente americano ha trascorso la giornata nel suo golf club di Turnberry, dove è stato raggiunto da Warren Stephens, ambasciatore americano nel Regno Unito, e dagli echi delle proteste in diverse città della Scozia, da Edimburgo ad Aberdeen. Oggi pomeriggio, sempre al Golf club di Turnberry, Trump riceverà Ursula von der Leyen, che sarà accompagnata dal Commissario al Commercio Ue, Maros Sefcovic. E forse si capirà se il pendolo delle trattative che oscilla da ormai quattro mesi, si fermerà finalmente sulla casella del «sì» all’intesa. 

La presidente della Commissione europea è in una posizione negoziale di chiaro svantaggio, come racconta, meglio di tanti comunicati ufficiali, il fatto che si sia precipitata in Scozia, di domenica, al primo cenno di invito da parte del leader Usa. Per gli europei, l’obiettivo più realistico è che si raggiunga un punto di equilibrio sui principi generali, su due-tre numeri chiave, con l’impegno di definire il resto nelle prossime settimane. L’Unione europea spera di replicare lo schema del protocollo tra Stati Uniti e Giappone, anche se lo scenario che ci riguarda è diverso. Fino al 2 aprile scorso, gli Stati Uniti applicavano una tariffa media del 4.8% alle merci europee. Da quel giorno, il cosiddetto «liberation day», il prelievo è passato al 10%. Trump ha minacciato di portarlo al 30% se non si dovesse giungere a un accordo entro il primo agosto prossimo. 



















































A quanto pare il leader Usa e Von der Leyen sarebbero pronti a convergere sulla soglia del 15% da applicare su gran parte dell’export, compreso l’acciaio e l’alluminio, ora pesantemente penalizzati con una tariffa del 50%, nonché il settore dell’auto e della componentistica, attualmente al 27,5%. In sostanza, i dazi a carico delle merci europee potrebbero triplicarsi rispetto all’era pre-trumpiana. Ma la Commissione, unico soggetto istituzionale autorizzato a trattare in materia commerciale per la Ue, ha messo in campo fin dall’inizio una strategia di contenimento. Da Bruxelles sottolineano come sarebbe comunque un risultato positivo evitare che i dazi possano balzare fino al 30%: un livello insostenibile per l’economia europea. Anche per questo, secondo indiscrezioni riportate dall’«Ansa», von der Leyen avrebbe di fatto congelato l’ipotesi di imporre una «digital tax europea» alle aziende tecnologiche americane.

Il digitale resta comunque il settore cruciale in questa trattativa. Per la numero uno europea il «passaggio scozzese» è insidioso anche sul piano politico generale. In alcune capitali lo scetticismo iniziale si sta trasformando in insofferenza nei confronti dell’approccio trumpiano. Il presidente francese Emmanuel Macron e adesso anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz chiedono di non capitolare di fronte a tutte le richieste degli americani. Von der Leyen, appoggiata tra gli altri dal governo italiano, ha già promesso a Trump che gli europei acquisteranno più gas liquido e più armi «Made in Usa». Ma per il titolare della Casa Bianca non è ancora abbastanza. Il presidente degli Stati Uniti sembra perfettamente a suo agio. Non solo allunga la lista delle richieste, ma dispensa anche consigli, a quanto risulta, non richiesti da nessuno. Per esempio sull’immigrazione: «È meglio che gli europei si diano una mossa o non ci sarà più l’Europa». Persino sulle pale eoliche: «Fermate questi mulini a vento, state rovinando i vostri Paesi. Dico sul serio, è così triste: rovinano i vostri splendidi campi, le vostre valli e uccidono gli uccelli». Nel frattempo un sondaggio pubblicato dal «Wall Street Journal» mostra come gli elettori americani continuino a fidarsi più dei repubblicani che dei democratici.

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26 luglio 2025